Parresia

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

La parresìa (dal greco παρρησία, composto di pan, 'tutto', e rhema, 'ciò che viene detto') è la libertà di parola, ma anche la franchezza nell'esprimersi, dire ciò che si ritiene vero e, in certi casi, un'incontrollata e smodata propensione a parlare.[1] In questo senso la parresia fu uno dei principi filosofici del cinismo (che propugnava "l'imitazione del cane") come dimostrano gli aneddoti relativi alla figura di Diogene di Sinope, non a caso chiamato "il cane", e al suo modo franco e quasi scorbutico di rapportarsi con gli altri quasi come il cane che abbaia a chi lo disturba.[2]

«[Alessandro] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta Diogene: "Ed io sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: "Mi dico cane perché faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi."[3]»

La parresìa quindi assume un significato che va oltre quello di isegoria (da ἴσος = uguale e ὰγορεύω parlare in pubblico) che vuol dire riconoscere a tutti i cittadini la libertà di prendere la parola nelle assemblee pubbliche della democrazia greca antica.

I due termini vengono però spesso confusi come sinonimi: Erodoto usa più volte il termine "isegorìa" con il significato di parresia, mentre Euripide, Demostene, Isocrate usano più spesso nello stesso contesto "parresìa" non differenziandolo da isegoria. Lo Pseudo-Aristotele invece non usa mai isegoria con valore di diritto di parola nelle assemblee pubbliche, ma ne parla solo per i rapporti personali nella sfera privata[4]

Politeia e parresia[modifica | modifica wikitesto]

«E perché ci sia democrazia deve esserci parresia.[5]»

Fin dal V secolo a.C. Euripide, Socrate, Platone, Aristotele ritengono che vi sia uno stretto collegamento tra politeia, esercizio politico del potere, e parresia, comportamento morale del buon cittadino che parla dicendo la verità. La costituzione democratica ateniese infatti si fondava su i tre pilastri della isegoria (uguale diritto di parola nelle assemblee), della isonomia (uguale partecipazione al potere politico) e della parresia (uguale diritto per tutti di esprimersi francamente nei dibattiti politici)[6] ma ad un certo punto la parresia diviene un ostacolo al corretto uso della politica quando cioè, potendo ognuno dire sinceramente la sua opinione, che vale come quella degli altri, ne nasce una confusione tale da non poter più raggiungere la verità. Da qui nasce l'esigenza di designare colui che, essendo in grado di conoscere il vero, assuma il potere politico a cui dovrà corrispondere l'obbligo di obbedire.

La "parresia" come etica della verità[modifica | modifica wikitesto]

Michel Foucault, in una serie di conferenze tenute all'Università californiana di Berkeley nel 1983,[7] ha trattato il tema della parresia: una parola usata per la prima volta da Euripide nel V secolo a.C.[8] per indicare una nuova virtù: dire la verità. La parola parresia attraversa la letteratura greca sino alle opere della patristica del V secolo d.C. e per l'ultima volta si ritrova in Giovanni Crisostomo. Da allora, come afferma Foucault, questa virtù non compare più e si perde il coraggio di dire la verità.[9]

Foucault rintraccia varie forme di parresia nei drammi di Euripide:

  • la parresia politica, che è quella di «esercitare il potere attraverso il dire-il-vero»;
  • la parresia giudiziaria: pretendere che si dica il vero per ottenere giustizia;
  • la parresia morale: «confessare la colpa che grava sulla coscienza»

«la parresia è un atto direttamente politico che viene esercitato davanti all’Assemblea, o davanti al capo, o davanti al governante, o davanti al sovrano, o davanti al tiranno ecc. È un atto politico, ma sotto un altro aspetto, la parresia [...], è anche un modo di parlare a un individuo, all’anima di un individuo: un atto che riguarda la maniera in cui quest’anima verrà formata.[10]»

Ma la parresia può divenire un ostacolo all'esercizio della democrazia quando essa si confonde con la retorica «...quello strumento con cui chi vuole esercitare il potere non può che ripetere molto puntualmente ciò che vuole la folla, oppure ciò che vogliono i capi o il Principe. La retorica è un mezzo che permette di persuadere la gente ad abbracciare posizioni che sono già le sue...»[11]

Denunciare «questo cattivo funzionamento della parresia nella democrazia ateniese» è il dovere morale che si assume Socrate come riferisce Platone nell'Apologia. Socrate, a rischio della sua vita, rivela, contrariamente a quanto pensa la maggioranza persuasa dalla retorica, come su di lui sono state dette cose non vere come quella di corrompere i giovani e di non credere negli dei della città. Quelli che lo accusano «poco o nulla di vero hanno detto, e voi, invece, da me non udirete altra cosa che la verità»[12], perché il filosofo è colui che dice la verità dimostrandola con il suo comportamento di vita.

In Socrate la parresia filosofica coincide con la vita reale: non è solo una tecnica dialogica, «essa non è assolutamente una funzione politica, ma è necessaria in relazione alla politica»[13]

Per il filosofo «amante della verità» e che «non accetta mai di mentire consapevolmente»[14][15] dire la verità vuol dire praticare la parresia come scelta di vita.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Enciclopedia Treccani alla voce corrispondente
  2. ^ Michel Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli Editore, 2005, p.81
  3. ^ Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Vita di Diogene il Cinico
  4. ^ Arnaldo Momigliano, "La libertà di parola nel mondo antico" (1971), ristampato in Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Tomo II, Edizioni di Storia e Letteratura, 1980, pp. 403-436.
  5. ^ M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), trad. it. M. Galzigna, Feltrinelli, Milano 2009 p.153
  6. ^ In Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet alla voce "Isonomia"
  7. ^ M. Foucault, Op. cit.
  8. ^ Nella tragedia Ione, riga 672.
  9. ^ Umberto Galimberti, Michel Foucault a lezione di greco, in La Repubblica, 16 febbraio 1996
  10. ^ M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Op. cit. p.188
  11. ^ M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Op. cit. p.221
  12. ^ Platone, Apologia 17 b 4-8
  13. ^ M. Foucault, Il governo di sé e degli altri. Op. cit. p.310
  14. ^ Platone, Repubblica, VI, 485 c 6 - d 1
  15. ^ Platone distingue tra errore (la falsità involontaria) e menzogna (la falsità voluta) per cui ad esempio: mentre Achille mente «non di proposito, bensì involontariamente», Ulisse mente invece sempre «volontariamente e di proposito» (In Platone, Ippia minore, 370e)

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Michel Foucault, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), trad. it. M. Galzigna, Feltrinelli, Milano 2009.
  • Michel Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, trad. it. a cura di A. Galeotti, Donzelli editore, Roma 1996.
  • Giuseppe Scarpat, Parrhesia: storia del termine e delle sue traduzioni in latino, Brescia, Paideia, 1964.
  • Giuseppe Scarpat, Parrhesia greca, parrhesia cristiana, Brescia, Paideia, 2001 (edizione riveduta di Scarpat 1964).
  • Marcel Detienne, I maestri di verità nella Grecia arcaica, trad. it. A. Fraschetti, Laterza, Roma-Bari 2008.
  • Andrea Tagliapietra, Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Bruno Mondadori, Milano 2001.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]