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I casi Roma e Milano e chi non ha voluto vedere

I casi Roma e Milano e chi non ha voluto vedere
(ansa)
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I CASI Muraro e Marra erano sotto gli occhi di tutti da mesi. Fin dai primi giorni è stato chiaro che si trattava di due persone inadatte a ricoprire incarichi di grande responsabilità in una giunta che voleva presentarsi all'insegna della discontinuità e della trasparenza. Da subito è stato chiaro che erano portatori di conflitti di interesse, di legami dubbi e opachi e che avevano un curriculum che doveva destare allarme.

Questo Repubblica lo ha raccontato fin dall'inizio. Senza reticenze e in modo approfondito. Per questo per mesi siamo stati criticati, accusati di essere partigiani, non obiettivi e di farlo per partito preso (o per conto di Renzi). Oggi finalmente tutti hanno modo di rendersi conto che i giornalisti di Repubblica hanno soltanto fatto con scrupolo e precisione il loro lavoro di cronisti.

Siamo stati attaccati dal Movimento 5 Stelle, dai blog, sui social network, dal Fatto Quotidiano e molti lettori mi hanno scritto chiedendo se non fossimo prevenuti e ingiusti con Virginia Raggi e la sua giunta. Commenti che spesso non volevano aprire gli occhi sull'ombra nera che stava avvolgendo il Campidoglio o che ancora oggi faticano a credere come la promessa di rinnovamento e pulizia morale, che ha fatto la forza del movimento di Beppe Grillo, sia stata tradita dalle decisioni della sindaca.

Prima delle elezioni avevo scritto che era necessario il cambiamento ma che il problema era mandare al potere chi non aveva nemmeno l'ombra delle competenze e dell'esperienza necessarie per gestire una città come Roma. Quali siano le condizioni della città i romani lo sanno, perché vivono sulla loro pelle tutti i giorni il mancato miglioramento di quei servizi fondamentali, come la mobilità e la pulizia, che aspettano da troppo tempo. Nella giunta e nelle municipalizzate c'è stato un via vai incomprensibile di assessori e figure chiave, prima designate tardivamente e poi obbligate alle dimissioni, talvolta addirittura sostituite con altre persone sconfessate ancora prima dell'insediamento.

Ma questo caos amministrativo non è stato frutto solo dell'inesperienza. Oggi è chiaro a tutti come Virginia Raggi non sia stata all'altezza del compito, che prevede la capacità di comprendere e di distinguere, di circondarsi di persone pulite e competenti. È come se il peccato originale di una omissione quella di avere taciuto all'elettorato l'attività di avvocato nello studio creato da Cesare Previti - difeso nei processi da Alessandro Sammarco, fratello di Pieremilio titolare di quello studio - avesse aperto le porte del Campidoglio a una sfilata di personaggi provenienti dai capitoli peggiori della storia recente di Roma. Quel Pieremilio Sammarco eternamente presente alle spalle della sindaca negli incontri chiave, al punto da selezionare i candidati agli assessorati più pesanti e convincerla a ingaggiare un ex magistrato sotto inchiesta.

Virginia Raggi non solo ha fatto scelte discutibili ma le ha sostenute oltre ogni limite, incurante del prezzo politico e dei principi di legalità. Come affidare i rifiuti a Paola Muraro, nota per essere in stretto rapporto con gli uomini neri della giunta Alemanno e che da anni, come consulente, certificava l'attività degli impianti di Manlio Cerroni, il signore delle discariche romane, che proprio in un'intervista a Repubblica l'aveva definita "una brava munnezzara con cui ci s'intende". Su cosa si sarebbero intesi i due? I magistrati l'accusano di reati ambientali e della falsificazione dei dati sul trattamento dei rifiuti proprio per favorire i proprietari degli impianti. L'indagine sull'assessora era nota in Campidoglio sin da luglio, ma è stata taciuta per 47 giorni. È stata taciuta per oltre un mese anche da Luigi Di Maio, uno dei leader del Movimento, che oggi le testimonianze di ex assessori e manager indicano come nume tutelare dell'asse tra Raggi e Muraro. Un asse che si è spezzato solo la scorsa settimana con le dimissioni giunte al momento dell'avviso di chiusura indagini. Era già stato tutto scritto, ma ogni volta domande e contestazioni venivano accolte con un'alzata di spalle, una battuta o un sorrisetto di circostanza.

C'è stata poi l'incredibile vicenda di Giuseppe Rojo, fondatore di una società in cui la Raggi era stata presidente, sempre per conto dello studio Sammarco. Ebbene proprio Rojo ad agosto ha ricevuto l'incarico di occuparsi della vendita del più importante progetto alberghiero di Roma: trovare un compratore per l'hotel disegnato dall'architetto Fuksas. Incarico ricevuto dall'Ente Eur, ente pubblico in cui il comune guidato da Virginia Raggi ha una quota rilevante. Nell'intervista a Repubblica su questo punto la sindaca non ha dato spiegazioni, preferendo dedicarsi al "complotto dei frigoriferi".

Infine lo scandalo Marra, i cui rapporti economici con il costruttore Sergio Scarpellini sono stati rivelati da l'Espresso: una storia di case comprate con sconti da mezzo milione e altre vendute a prezzo doppio. Una regalia colossale a Marra da parte di un imprenditore che aveva enormi interessi in sospeso con il Campidoglio, progetti che la stessa Raggi aveva denunciato quando era all'opposizione. Le intercettazioni della procura ora confermano quanto abbiamo scritto per mesi: era Marra "l'uomo più importante" della giunta, capace di resistere a ogni tentativo di defenestrazione passando da vicecapo di gabinetto a responsabile di tutto il personale capitolino. Una carriera continuata in sprezzo di ogni evidenza e sancita dalla promozione del fratello, una scelta rivendicata dalla sindaca, perfino in una risposta formale all'Anac, l'organismo anticorruzione di Cantone, in cui racconta di avere esaminato uno per uno i curriculum dei candidati e di aver scelto alla fine proprio il fratello di Marra.

Ora è tempo di tirare le conclusioni. A Roma come a Milano. A Milano un sindaco sotto indagine si sospende dalla carica, a Roma una sindaca che ha difeso fino all'ultimo il suo più stretto collaboratore, e non uno dei 23mila dipendenti comunali come si cerca di dire oggi, resta al suo posto e rifiuta di mettersi in discussione. A Milano bisogna fare chiarezza, nel più breve tempo possibile, e se gli elementi di indagine su Beppe Sala saranno solidi è evidente che l'auto-sospensione si dovrà tramutare in dimissioni. Se invece non ci saranno elementi per un processo allora è giusto che il sindaco eletto dai milanesi torni nel pieno delle sue funzioni.

A Roma invece la parola passerà agli eletti, i consiglieri comunali del Movimento 5Stelle, i quali dovranno decidere giorno per giorno se una sindaca che ha mostrato di non essere in grado di scegliere i propri collaboratori, di valutarli e di tenere il malaffare lontano dalle stanze del potere, debba continuare a governare la città o sia meglio che lasci. Grillo ha deciso di commissariare Virginia Raggi, purgando la giunta dai suoi uomini di fiducia e togliendole libertà di movimento. Un modo per mandare avanti questa esperienza senza però affrontare i conti con la verità e il senso di responsabilità. Raggi non può pensare che fare un post su Facebook nel cuore nella notte, una conferenza stampa senza domande o una fuga senza risposte siano un modo accettabile di procedere. Non è rispettoso. Ma non per i giornalisti, per i cittadini e per coloro che l'hanno eletta.

È la stessa contestazione che abbiamo mosso a Maria Elena Boschi: la sua riforma è stata severamente bocciata ma lei non ha detto una parola. Nessuna riflessione, nessuna analisi, nessuna dimissione. Anzi, una bella promozione. Deve essere lo spirito dei tempi.
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