13 agosto 2019 - 08:21

Rima, i funerali di Fabrizio Saccomanni e la ribellione delle élite

Lunedì le esequie dell’economista nella chiesa di San Salvatore in Lauro: uomo gentile, cinefilo e laziale. Presenti alle esequie anche Draghi, Visco e Amato

di Paolo Franchi

Rima, i funerali di Fabrizio Saccomanni e la ribellione delle élite
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«No, guarda, questa storia delle élite che sarebbero colpevoli di tutto mi ha un tantino stufato». Con Fabrizio Saccomanni, che se ne è andato qualche giorno fa, abbiamo discusso tante volte su tante cose, per noi tutte importanti, dalla politica al cinema, dall’economia al calcio, o più precisamente alla sua Lazio e alla mia Roma. Sacco era una persona profondamente gentile, nell’animo e nel tratto: e persino uno come me, colpevolmente incline ad infervorarsi (e per questo spesso affettuosamente rintuzzato da sua moglie Luciana) sa che con le persone colte e gentili si conversa, non si litiga. Quella sera di qualche mese fa, però, ci andammo vicini. Per colpa mia. O meglio per colpa di un libro del sociologo americano Cristopher Lasch («La ribellione delle élite», Feltrinelli) vecchio di venticinque anni, che a me però pare incredibilmente attuale nel tempo del sovranismo e del populismo dilaganti.

Non mi aspettavo certo che Saccomanni potesse condividere la tesi di Lasch, secondo la quale le moderne élite, separate dal resto della società, cosmopolite e nutrite addirittura di «una visione essenzialmente turistica del mondo», sono un fattore decisivo della crisi della democrazia. Ma non sospettavo che non ne volesse neppure sentir parlare. Cambiai discorso, e soprattutto rinunciai all’idea di regalargli il libro di Lasch. Forse sbagliai. Perché delle élite, ampiamente rappresentate ieri ai suoi funerali, nella chiesa di San Salvatore in Lauro, faceva certamente parte. Non di quel tipo di élite, però. E’ stato, Saccomanni, un cittadino del mondo e nello stesso tempo un civil servant. E pure qualcosa di più: un esponente di rilievo di un’Italia civile sicuramente minoritaria ma, nel nostro recente passato, più vasta di quanto oggi si creda, e mai straniera in patria. Di lui mi mancheranno l’ amicizia e l’intelligenza brillante. Ma anche l’ironia e l’arguzia, proprie dei borghesi romani colti di una volta. Che, come lui, amavano il Belli, ma non disdegnavano affatto Trilussa.

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