Verso il Sur Latinamericano… imparando da errori e successi dell’ecu

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Giscard e Schmidt al vertice di Brema del 1978

Come è ormai noto, Argentina e Brasile stanno pensando di dar vita ad un embrione d’integrazione monetaria in America Latina, a partire da una moneta comune denominata sur aperta alla partecipazione di altri paesi del continente. Non è la prima volta che se ne parla, per chi si ricorda dell’idea, un po’ improvvisata, di Raul Alfonsin (presidente argentino) e José Sarney (presidente brasiliano) che nel 1987 proposero una moneta comune denominata gaucho. Non ebbe alcun seguito.

Anche Chavez, a modo suo, aveva provato a procedere in una direzione simile, quando aveva proposto la creazione di un Banco del Sur per affrancare l’America Latina dalla sudditanza economica e dalle influenze politiche degli Usa e delle istituzioni internazionali da essi controllate. Il problema è capire se e perché stavolta il tentativo dovrebbe essere più fortunato. Ma soprattutto quali dovrebbero essere le tappe da seguire.

L’annuncio ha ricordato quanto deciso al vertice Cee di Brema nel luglio 1978 da Schimdt e Giscard d’Estaing, nel quale venne deciso il lancio dell’ecu. L’esperienza europea può effettivamente costituire un utile punto di riferimento per capire come potrebbe evolvere l’integrazione monetaria sudamericana.

Era però un’esperienza, quella europea, che nasceva da lontano, ben prima del 1978: dalle discussioni negli anni Sessanta per riformare il sistema monetario internazionale ed uscire dall’egemonia del dollaro; dal tentativo (debole) di serpente monetario europeo nel 1972, seguito alla fine del regime di Bretton Woods (agosto 1971). In quell’occasione, i paesi europei decisero di creare una unità di conto europea (ecu) di fatto agganciata ancora al dollaro (aveva lo stesso contenuto aureo di un dollaro Usa). Fino ad arrivare poi al Sistema monetario Europeo ed all’ecu che divenne moneta paniere delle valute nazionali.

Ma l’ecu, quando si trattò di sganciarsi definitivamente dal dollaro, aveva un punto di riferimento forte e credibile: il marco tedesco. Un ruolo analogo potrebbero svolgerlo, nel caso dell’America Latina, solo gli SDR, a loro volta una moneta-paniere utilizzata dal Fondo monetario internazionale; verso la quale negli ultimi anni sono cresciuti interesse e attenzione. E proprio questa attenzione, anche nell’ottica di rilanciare un multilateralismo messo a repentaglio dal recente sovvertimento dell’ordine mondiale, potrebbe dare nuova linfa alle prospettive di monete regionali. Il sur potrebbe trovarsi ad avere alleati inaspettati anche fuori dall’America Latina.

Occorrerebbe però che si sviluppasse un mercato privato del sur; con obbligazioni di grandi imprese e Stati sovrani emesse in SDR e/o nella nuova valuta. In modo da creare presupposti ed incentivi al suo uso crescente. È stata proprio la creazione di un crescente mercato privato dell’ecu, infatti, a consentirgli di trasformarsi da moneta comune a moneta unica europea, l’euro, quando le condizioni geopolitiche lo hanno reso realistico e praticabile con la fine dell’equilibrio bipolare.

Le preoccupazioni rispetto ai divari economici fra i vari paesi, invece, che pure non sono da ignorare, dovrebbero destare preoccupazioni minore, come ha ancora una volta mostrato il caso europeo. Certo, è comunque necessario intraprendere percorsi di convergenza macroeconomica fra le economie latino-americane (compito arduo per condizioni di partenza ancora meno omogenee di quanto lo fossero in Europa) per rilanciare le loro economie e la credibilità delle loro finanze pubbliche. Ma l’esperienza europea ha dimostrato come la volontà politica riesca ad innescare meccanismi virtuosi che, se ben sfruttati, possono aiutare la convergenza e rendere sempre più solida l’integrazione economica e monetaria regionale.

Se i criteri di ottimalità di un’area valutaria non sono automaticamente rispettati una volta presa la decisione politica, è tuttavia innegabile che, ad esempio, il dividendo dell’euro, ossia la discesa dei tassi d’interesse (e quindi il costo per il servizio del debito) dovuta all’aspettativa d’ingresso nella moneta unica, consentì all’Italia negli anni Novanta di godere di centinaia di miliardi di risorse aggiuntive che avrebbero potuto essere indirizzate per promuovere la crescita, gl’investimenti, aumentare il potenziale dell’economia italiana. Non accadde: il dividendo dell’euro finì quasi interamente in spesa corrente. Ma questa è un’altra storia, tutta italiana. Che ci auguriamo non si ripeta per i paesi dell’America Latina.

Oltre ad imparare dai successi dall’esperienza d’integrazione monetaria europea, sarebbe infatti utile che i paesi sudamericani  imparassero anche dagli errori commessi. Noi italiani, in questo senso, abbiamo molte cose da insegnare.