Esteri

Obama scaglia l'arma aerea contro l'Is in Siria e spera in alleati arabi e curdi per l'offensiva di terra

(reuters)
Dopo una lunga preparazione diplomatica la Casa Bianca ha dato il via ai raid anche contro le basi siriane degli islamisti. Ma per vincere sono necessari "gli scarponi sul terreno"
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NEW YORK – Sono passati dodici giorni esatti da quando Barack Obama ha annunciato alla nazione e al Congresso la decisione di “smantellare e distruggere” lo Stato islamico, attaccando anche le sue basi in Siria. In questi dodici giorni Obama è andato al vertice Nato di Newport per raccogliere consensi tra gli alleati Nato, ma ha affidato al suo segretario di Stato John Kerry un compito perfino più delicato: mettere assieme una significativa coalizione di alleati arabi. E’ questa coalizione ad essere entrata in azione a fianco alla U.S. Air Force in queste ore.

La Casa Bianca e il Pentagono sottolineano con evidente soddisfazione che “aerei militari di cinque paesi arabi hanno preso parte ai primi raid”. Tra questi figurano caccia dell’aviazione militare saudita e giordana, due paesi chiave nel dispositivo che Obama ha messo insieme: è importante che nell’offensiva contro i jihadisti sunniti figurino alcuni dei paesi dove la religione sunnita è maggioritaria. Inoltre la partecipazione dei paesi arabi punta a creare una legittimità internazionale per questi bombardamenti, che il regime di Assad e la Russia considerano a priori come una violazione dello spazio aereo e della sovranità territoriale di Damasco.

E tuttavia anche negli Stati Uniti nessuno si fa illusioni sull’impatto che possono avere questi raid aerei mirati. Negli ultimi giorni le milizie dello Stato Islamico (abbreviato anche con la sigla Isis) hanno inflitto pesanti sconfitte ai peshmerga curdi, quei combattenti che gli americani giudicavano molto meglio addestrati e motivati rispetto all’esercito regolare iracheno. Eppure l’Isis in Iraq è sotto il tiro dell’aviazione americana già da più di un mese.

Le guerre non si vincono solo dal cielo, Obama lo sa. Ci vogliono “scarponi sul terreno” ma il presidente è stato tassativo (resistendo alle pressioni dei suoi generali): le truppe terrestri non verranno dagli Stati Uniti che per ora si limitano a un migliaio di consiglieri e addestratori. Gli scarponi sul terreno dovrebbero essere anzitutto iracheni, curdi, e combattenti siriani che si oppongono sia all’Isis sia ad Assad. Un’armata brancaleone dall’efficacia molto dubbia: l’esercito iracheno teoricamente ha già avuto il beneficio di consiglieri e addestratori Usa da molti anni, il risultato non è esaltante.

Intanto un’altra partita si apre fra poche ore qui a New York con l’avvio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Con un gesto politicamente gravido di significato, Obama ha deciso che oltre al consueto intervento all’assemblea lui presiederà personalmente una riunione del Consiglio di sicurezza Onu. All’ordine del giorno il presidente americano ha chiesto che venga messo il tema delle “legioni straniere” di jihadisti, cioè il flusso crescente di combattenti islamici che partono dagli Stati Uniti, dall’Europa o dalla Turchia, per unirsi alle milizie dello Stato islamico.