La tecnologia non è neutrale, e neanche Facebook

Il "news feed" di Facebook è una tecnologia formidabile: solo, non c'entra con l'aiutare con la democrazia (anzi), spiega Alexis Madrigal sull'Atlantic

(David Ramos/Getty Images)
(David Ramos/Getty Images)

Alexis Madrigal, uno dei più importanti e noti giornalisti del magazine The Atlantic, è intervenuto nel dibattito sul ruolo e sul potere di Facebook presso le società democratiche con un articolo che riconduce il problema della presunta – ma inesistente – neutralità di Facebook al suo stesso meccanismo principale, ovvero il “News Feed”, la successione di post che ogni suo utente trova sulla propria timeline.

Facebook e il suo fondatore e capo, Mark Zuckerberg, hanno a lungo sostenuto che il social network sia solo una piattaforma neutrale per i contenuti che aiuta a diffonderli più efficacemente, aumentando il tasso di libertà, connessione e condivisione tra le persone che lo usano: di recente lo stesso Zuckerberg è sembrato però prendere atto delle controindicazioni possibili rispetto alla corretta costruzione del consenso, e alla diffusione di notizie non affidabili. È sempre possibile, si chiede Madrigal, dire che Facebook incentiva le persone alla partecipazione e al voto, ma non alla partecipazione e al voto di un candidato piuttosto che di un altro, a parità di condizioni?

Madrigal nega un grande e diffuso assunto della retorica su internet di questi anni, citando Melvin Kranzberg, illustre studioso di storia della tecnologia morto nel 1995, che spiegò che “la tecnologia non è né buona né cattiva: e non è neanche neutrale”.

Le interazioni della tecnologia con gli ecosistemi sociali sono tali che gli sviluppi tecnologici spesso hanno conseguenze ambientali, sociale e umane che vanno assai oltre gli scopi immediati delle pratiche e delle apparecchiature tecnologiche stesse, e una stessa tecnologia può generare risultati del tutto differenti se introdotta in contesti o circostanze diverse.

E allora, dice Madrigal, esaminiamo il funzionamento della tecnologia che è alla base dell’uso di Facebook: ovvero il News Feed. Il News Feed è in sostanza il complesso di algoritmi che scelgono quali contenuti appaiono sulla nostra “home page” di Facebook. Un tempo era una timeline, ovvero una semplice cronologia dei post degli “amici” o delle pagine seguite: ma a un certo punto Facebook si è posto il problema di offrire una scelta più apprezzata, data l’enorme quantità di post pubblicati ogni momento. Il News Feed è la tecnologia che risponde a quel problema, usando diversi criteri e fattori per stabilire in che ordine mostrarci i post. Un arbitrio, ma motivato da ragioni sensate: probabilmente ci importa vedere cosa ci scrive nostra sorella prima di un articolo dell’Espresso. «Come tecnologia, è uno dei prodotti di maggior successo dei nostri tempi», ammette Madrigal: grazie al News Feed le persone stanno su Facebook tantissimo tempo, perché ci trovano cose che attraggono o mantengono la loro attenzione. E quel tempo – like, condivisioni, commenti: quello che si chiama engagement – è a sua volta studiato ed elaborato da Facebook per tarare ulteriormente il News Feed, e così via.

Il fatto è che i criteri alla base di tutto questo non hanno niente a che fare con un miglior funzionamento della democrazia. L’engagement e la partecipazione democratica sono due cose distinte. E anzi, trattandosi di due cose distinte, c’è la possibilità che ciò che incentiva il primo sia in contrasto con la seconda. Il News Feed influenza ciò di cui le persone parlano e le loro opinioni?

La versione di Facebook è che i suoi vantaggi e svantaggi sono uguali per tutti: e un uso efficace o trascurato dei suoi servizi può favorire o limitare un candidato politico a prescindere dalle sue posizioni o appartenenze. E allora, dice Madrigal, immaginiamo due candidati.

Il primo, immaginiamolo, è perentorio e incline a dichiarazioni estreme che generano polemiche. Affronta questioni scabrose e delicate e attacca personalmente gli avversari. Usa le divisioni nel paese per ottenere molte condivisioni e commenti, sia positivi che negativi. Il secondo candidato di questa elezione immaginaria è più misurato: i suoi commenti sono soprattutto sulle politiche, e cercano di contenere gli eccessi dei suoi sostenitori.

«Potreste mai pensare che i risultati di engagement di questo secondo candidato siano inferiori rispetto al primo?», chiede ironicamente Madrigal: «ora moltiplicate questo per tutta la copertura mediatica che i due diversi candidati generano, e poi per tutte le persone che si rendono conto che pubblicare un meme contro Trump ottiene un maggiore engagement che pubblicarne uno a favore di Clinton».

Il problema delle “fake news” su Facebook, conclude Madrigal, è solo un sintomo di una questione più estesa. È quella della tecnologia che sostiene il funzionamento di Facebook, il suo prodotto migliore, il News Feed: probabilmente non possono essere engagement e viralità i motori principali di un mezzo di informazione universale che si proponga come «una forza del bene per la democrazia».

 

E se è così, Facebook è disponibile a cambiare?