Milano, 30 agosto 2017 - 08:17

La nostra fauna uccisa dagli incendi Sarebbe saggio rinviare la caccia

La siccità è un disastro anche nelle campagne: i roghi nel Lazio poi desertificano macchie e foreste e i loro abitanti

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Chi vive in città, pur preoccupato per i troppi mesi senza una goccia d’acqua (a Roma non piove da giugno) e per le terrificanti temperature, non si rende conto di quanto stia accadendo in campagna e nei luoghi naturali in una Regione colpita dalla siccità come nessun altro luogo d’Europa. L’aridità che ha compromesso la produzione di tantissime colture e ha trasformato campi e pascoli in polverose steppe senza fiori e farfalle, uccelli e lucciole, ha prosciugato sorgenti e fiumiciattoli dove da bambini pescavamo arborelle e gamberi di fiume e vivevano rane italiche e salamandrine dagli occhiali. Come sta accadendo oggi in un’ Oasi Wwf e Monumento naturale regionale nel Viterbese. A questa catastrofe si aggiunge, per mano di incoscienti ma soprattutto di criminali, quella degli incendi. Che colpiscono ettari di sterpaglie - che sono però habitat di moltissimi animali come ricci, lucertole, chioccole, ramarri, topiragni e crisalidi - ma anche vaste aree incolte e boschive.

I diffusissimi roghi del Lazio desertificano macchie e foreste e i loro abitanti. Istrici e volpi, scoiattoli e ghiri, testuggini terrestri, serpenti e rospi, gatti selvatici e martore, tassi e altri, sono sorpresi dall’avanzata velocissima delle fiamme che non lasciano scampo neppure ai volatili. Io stesso, nel devastante incendio dell’Argentario del 21 agosto del 1981, trovai un minuscolo occhiocotto appeso a un ramoscello, ucciso dal fumo e dal calore. A questo inferno estivo, la fauna oggetto di caccia (la cosiddetta “selvaggina”) non sfugge: pur se riescono a scappare dalle fiamme e dal fumo asfissiante, cinghiali e caprioli, fagiani e starne, daini e volpi, lepri e conigli selvatici, tortore e quaglie, scacciati dai loro insostituibili rifugi, dovranno trovare, nel territorio carbonizzato e incenerito, un ricovero e del cibo con grandi e faticosi spostamenti e continui pericoli.

Data questa situazione degli animali, che perdurerà per mesi se non per anni, le Associazioni ambientaliste e animaliste, dal Wwf all’Enpa, dalla Lipu alla Lav e alla Lac, hanno chiesto a gran voce la chiusura totale della caccia. Sarebbe stato un atto che anche le Associazioni venatorie (con la coscienza ecologica che non si stancano di rivendicare) dovrebbero accettare. Questo, o almeno un ritardo nell’apertura. Anche l’Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale ha chiesto alle Regioni di posporre l’apertura della caccia (che oggi per molte specie cade addirittura ai primi di settembre e nel Lazio il 18 del mese) almeno al primo di ottobre. Finora, a quanto ci risulta, solo l’Abruzzo ha consentito al rinvio.

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