Mentre la scena era occupata dalla guerra sull’acqua, dietro le quinte della politica romana si è consumata la grande pace sui rifiuti. Regione (Pd) e Comune (M5S) hanno rinfoderato le armi per autorizzare il più grande impianto di trattamento di rifiuti indifferenziati della Capitale, il tritovagliatore di Rocca Cencia.

Il proprietario è il celebre Manlio Cerroni, avvocato novantenne e - per sua stessa definizione - «re dei monnezzari», sotto processo per reati ambientali e commissariato da prefettura e Autorità Anticorruzione in seguito a un’interdittiva antimafia confermata da una doppia sentenza del Consiglio di Stato. Un affare da 60 milioni di euro l’anno, mentre parte la volata della campagna elettorale.

Giusto un anno fa, il tritovagliatore di Rocca Cencia era stato evocato nella diretta Facebook del blitz di Paola Muraro, allora assessore all’Ambiente della giunta M5S, nella sede dell’Ama, l’azienda rifiuti comunale. Muraro aveva intimato a Daniele Fortini, allora presidente dell’Ama, di utilizzare il tritovagliatore di Cerroni per risolvere l’emergenza. Fortini si era opposto per ragioni tecniche, ambientali e legali. Ne era nato uno scontro concluso con le dimissioni di Fortini, non prima di aver depositato pacchi di carte in Procura. In quei giorni era emerso che, all’indomani delle elezioni vinte da Virginia Raggi, emissari di Cerroni avevano incontrato sia Muraro che Stefano Vignaroli, deputato Cinquestelle e vicepresidente della Commissione Rifiuti della Camera, nonché trait d’union del Movimento con i comitati romani.

Fuori dai tecnicismi, il tritovagliatore non è proprio quanto di più moderno ci sia nel settore. Si tratta di una specie di gigantesco macinino-centrifuga che rivolta, sminuzza e comincia a separare i rifiuti, riducendone il volume ma non il peso. E senza trattarli in alcun modo. Come dicono gli esperti, «non chiude il ciclo» ma il rifiuto in uscita cambia codice e viene qualificato come speciale (anziché urbano), quindi smaltibile con meno vincoli e controlli (sul punto c’è una ricca giurisprudenza, l’ultima inchiesta è a Brescia). Infatti quello che esce dal tritovagliatore va smaltito, per lo più negli inceneritori tanto criticati dal Movimento.

Il piano che Fortini aveva concordato nel 2015 con Ignazio Marino, il sindaco che l’aveva nominato, prevedeva di farne a meno, puntando su ecodistretti. Anche il piano della giunta Raggi, varato quattro mesi fa e fortemente orientato alla raccolta differenziata, l’esclude.

Autorizzato temporaneamente cinque anni fa, l’impianto era in attesa di un timbro definitivo. Cerroni aveva presentato la domanda in Regione. Poi, colpito dai provvedimenti giudiziari e prefettizi, l’aveva affittato ad altri imprenditori romani del settore, i fratelli Porcarelli, «per togliere dall’imbarazzo» gli interlocutori istituzionali. Ma la proprietà resta sua. Contemporaneamente l’Ama a guida Fortini aveva depositato in Regione un’analoga domanda di autorizzazione per realizzare su un terreno di sua proprietà a Rocca Cencia (a pochi metri da quello di Cerroni) un impianto di compostaggio che trasforma il rifiuto organico in concime, progetto pilota degli ecodistretti.

A distanza di due anni, il risultato è che l’impianto pubblico (sei volte più piccolo e più moderno dal punto di vista ambientale) è ancora bloccato, quello privato di Cerroni viene autorizzato a lavorare 1200 tonnellate al giorno per dieci anni. Il che significa 170 compattatori che ogni giorno entrano pieni di rifiuti ed escono vuoti. E 60 tir che entrano vuoti ed escono pieni di rifiuti triturati. Dunque un transito di un mezzo pesante ogni cinque minuti, calcolando un’operatività massima su tre turni, 24 ore al giorno per sette giorni.

Si può capire la rabbia degli abitanti della zona di Rocca Cencia, in una recente assemblea dai toni non proprio oxfordiani con l’assessore all’Ambiente del Comune, Pinuccia Montanari (il video è sul sito romatoday.it). Montanari risponde ai cittadini infuriati che la responsabilità è del Pd. In effetti a firmare l’autorizzazione è la Regione Lazio. Ma altrettanto vero è che il Comune e la città metropolitana, partecipando a tre riunioni della conferenza dei servizi in quanto enti interessati, non si sono mai opposti. Né Virginia Raggi, che guida questi due enti, l’ha fatto per via politica. Lontani i tempi in cui il M5S vellicava le proteste dei comitati locali (e mieteva voti) promettendo di liberarli dall’incubo dei rifiuti.

Cerroni torna da trionfatore al centro del sistema politica-rifiuti di Roma. Colpito da magistratura e Anticorruzione, oggetto degli appetiti di chi vorrebbe acquisirne l’impero a prezzo vile, grazie alla triangolazione dell’affitto del ramo di azienda si riprende la scena con consenso bipartisan Pd-M5S e può perfino dire «io non c’entro più niente». Alla prossima emergenza, i rifiuti di Roma potranno bussare - come da decenni - alla sua porta. La Raggi sa di poter contare su di lui, il via libera al tritovagliatore per lei è una polizza vita. E mentre avvia la campagna per la rielezione, anche Zingaretti preferisce contribuire a mettere in sicurezza il sistema e a non esporsi all’accusa di voler sgambettare la sindaca M5S. Pazienza se si tratta di un ritorno al passato.

I commenti dei lettori