"Il referendum curdo non mira a rompere bruscamente con il passato; piuttosto, appare un ulteriore passo verso la piena autonomia curda.
Del resto, né il Medio Oriente né lo stesso Kurdistan sono pronti alla nascita di uno Stato curdo. Al contempo però, il referendum non risolverà affatto i problemi curdi.
Il paese è diviso in due, ha due eserciti, è affetto da una pesante crisi economica e nonostante la convergenza sul referendum, manca un accordo politico. In altri termini, senza un effettivo piano di riconciliazione nazionale rischia di essere un’occasione sprecata.
Del resto, oggi Arbīl non ha molte alternative alla rinegoziazione dell’opzione federalista.
Una dichiarazione unilaterale d’indipendenza sarebbe percorribile solo se vi fosse un governo curdo forte e coeso, il favore dei maggiori attori regionali e il riconoscimento da parte della comunità internazionale; diversamente, sarebbe un azzardo che lascerebbe il paese esposto al rischio di dirimenti influenze esterne, instabilità politica, insostenibilità economica, contraccolpi del prevedibile collasso iracheno.
Una seconda opzione è il «divorzio», più o meno consensuale, da Baghdad, come quello che ha portato alla nascita del Sud Sudan; anche in questo caso, però, è necessaria una concomitanza di condizioni interne e internazionali analoghe a quelle sopra descritte, che oggi manca del tutto.
Per adesso, non resta che gettare il sasso del referendum nel paludoso stagno mediorientale e vedere l’effetto che fa. Dopotutto, come ha detto lo stesso Barzani lo scorso marzo, «Cecoslovacchia e Jugoslavia si sono dissolte, come oggi sta accadendo all’eredità di Sykes-Picot».
Inutile aggiungere che si riferiva all’Iraq."
Citazione da "Il Kurdistan iracheno, uno Stato di fatto", presente come la carta ne Il mito curdo.Carta di Laura Canali
Carta di Laura Canali