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Mafia Capitale, inchiesta che cambiò politica a Roma

Mafia Capitale, inchiesta che cambiò politica a Roma

Travolte destra e sinistra, si apre fase "moralizzazione"

ROMA, 20 luglio 2017, 14:51

di Luca Laviola

ANSACheck

Mafia Capitale, inchiesta che cambiò politica a Roma - RIPRODUZIONE RISERVATA

Mafia Capitale, inchiesta che cambiò politica a Roma - RIPRODUZIONE RISERVATA
Mafia Capitale, inchiesta che cambiò politica a Roma - RIPRODUZIONE RISERVATA

La mafia non è capitale, hanno detto i giudici. Ma l'inchiesta della Procura di Roma ha cambiato per sempre lo skyline politico della città eterna. La scoperta del 'Mondo di Mezzo' ha portato a galla una zona grigia, di affari e collusioni che hanno corroso la città. Quando avviene il primo blitz del Ros Carabinieri, il 2 dicembre 2014, il sindaco é Ignazio Marino del Pd, che ha vinto le elezioni contro l'uscente Gianni Alemanno del Pdl. In carcere finiscono dem come l'assessore alla casa Daniele Ozzimo, condannato in un processo a parte a due anni e due mesi, e il presidente dell'Assemblea capitolina Mirko Coratti. Poi il Pdl vede invece finire dentro con l'accusa di concorso in associazione mafiosa il capogruppo regionale Luca Gramazio, figlio di Domenico, già missino, a Roma conosciuto come il Pinguino. Un sisma che tocca anche il minisindaco Pd di Ostia Andrea Tassone, municipio che sarà sciolto per infiltrazioni mafiose. Tanti i pezzi grossi della burocrazia romana, i manager voluti dalla politica che vengono travolti: gli ex dirigenti Ama Franco Panzironi e Giovanni Fiscon, quest'ultimo oggi assolto, pubblici ufficiali come Luca Odevaine o imprenditori come Fabrizio Franco Testa. Per il Pd romano è uno tsunami: un tempo laboratorio politico si ritrova a combattere contro l'onta della "mafia". L'ex ministro Fabrizio Barca fa un rapporto sui circoli romani, una vengono definiti "dannosi" e "pericolosi". Alcuni verranno chiusi dal commissario Matteo Orfini. Il Pdl dal canto suo con la sconfitta di Gianni Alemanno, anche lui entrato nell'inchiesta, a Roma ha perso consenso. Il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone nel rivelare l'esistenza di Mafia Capitale dice che con Marino c'é stata "discontinuità" rispetto all'era Alemanno, ma gli affari sporchi continuavano: illeciti bipartisan, proprio come il nero Carminati e il ras delle coop rosse Buzzi. La parola d'ordine della politica romana diventa "moralizzazione": nel Paese si afferma l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) di Raffaele Cantone, voluto dal governo di Matteo Renzi. All'Authority Regione Lazio, alla guida di Zingaretti, e Campidoglio, già sotto Marino, iniziano a sottoporre buona parte delle proprie decisioni. Marino chiama nella sua giunta persino un magistrato Alfonso Sabella. Di un quadro politico indebolito ne approfitta M5S, che dopo la caduta di Marino voluta dal suo stesso partito, a ottobre 2015, lancia la volata per le elezioni usando Mafia Capitale come mantra polemico contro gli avversari.
    La vittoria di Virginia Raggi nel 2016 discende anche da questo.
    Nata sull'onda dell'indignazione per Mafia Capitale - dopo la parentesi del prefetto Francesco Paolo Tronca commissario straorinario - l'amministrazione cinquestelle promette onestà e trasparenza. Ma, dice Raggi, "mafia capitale è una ferita ancora aperta". Lo dicono i numeri dei dirigenti capitolini indagati ancora oggi, 70 su 190. Lo dice la difficoltà della macchina capitolina a rimettersi in moto, lo racconta una città che sembra arrancare tra spazzatura, bus e metro poco efficienti, scarsa accoglienza per migranti e rom, un tempo tutto business sporco per le associazioni criminali. Mafia Capitale non esiste ma l'eredità lasciata dalla morsa del crimine oggi condannato nell'aula bunker è pesantissima.
   

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