Milano

Caso Yara, confermato ergastolo per Bossetti: la sentenza d'appello dopo 15 ore di camera di consiglio

Bossetti il giorno dell'arresto (ansa)
I giudici si erano ritirati alle 9.30 del mattino. Le lacrime della moglie, Marita Comi. E dell'imputato che ha pianto nella gabbia dei detenuti. L'avvocato: "Sconfitta del diritto"
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BRESCIA - Quindici ore per confermare che Massimo Bossetti resterà in carcere a vita. Quindici ore per ribadire che l'assassino di Yara Gambirasio è lui, l'uomo che ieri mattina alle 9, quando ha reso dichiarazioni spontanee davanti ai giudici, ha provato a allontanare la bestia: "Chi ha ucciso Yara è un animale, un maiale. Vi prego, rimediate al più grave errore giudiziario di questo secolo".

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Ma il rimedio auspicato da Bossetti non è arrivato: la Corte d'Assise d'appello, dopo una camera di consiglio fiume e caratterizzata da una spaccatura della giuria, ha confermato l'ergastolo già deciso dalla sentenza di primo grado. Il verdetto è arrivato a mezzanotte e mezza.  "Questo processo per noi resta pieno di anomalie e di cose che non tornano", hanno detto i legali della difesa, Claudio Salvagni e Paolo Camporini. Lui, Bossetti, ha ascoltato la lettura della sentenza in piedi: appena il presidente della Corte, Enrico Fischetti, ha finito di pronunciarsi, ha abbandonato l'aula ed è scoppiato in lacrime. In un lungo pianto anche Marita Comi, la moglie, che ha raggiunto l'imputato in una saletta dietro la cella di sicurezza.

Ma perché c'è voluta una camera di consiglio così prolungata per partorire quella che, a molti, era parsa la sentenza più probabile? Vero che il presidente della Corte lo aveva un po' anticipato ("non abbiamo limiti"), ma i tempi sono andati molto oltre quanto si pensava alla vigilia. L'indecisione e la divisione tra i giudici  - da quanto trapelato - avrebbe riguardato la carta numero uno messa in campo dai legali di Bossetti: la superperizia sul Dna. Quel Dna che come nel dibattimento di primo grado è stato il nodo anche di questo secondo processo.  "Concedetemi la superperizia - aveva chiesto Bossetti - così posso dimostrare con certezza la mia estraneità ai fatti. Non posso essere condannato con un Dna anomalo, strampalato, dubbioso".

Evidentemente qualche dubbio tra i giudici - otto, due togati e sei popolari - era stato instillarlo. La superperizia, dunque. Necessaria per la difesa, inutile per il procuratore generale Marco Martani (accusa). Il problema è però l'esigua quantità della traccia mista  trovata sugli slip di Yara. Talmente scarsa che, essendosi consumata nel primo test, renderebbe difficile, se non impossibile, la ripetizione del confronto col sangue di Bossetti. Negli ambienti giudiziari bresciani è nota la meticolosità del presidente Fischetti. E la sua inclinazione a voler "blindare" le sentenze se non con un'unanimità, comunque con un'omogeneità di giudizio. A mezzanotte la quadra tra i giudici dev'essere arrivata. Mezz'ora dopo la Corte è entrata in aula e la seconda tegola è caduta sul destino giudiziario di Massimo Bossetti.
 

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"Abbiamo assistito alla sconfitta del diritto, il ricorso in Cassazione è scontato" è il commento a caldo dell'avvocato Claudio Salvagni. Di segno opposto la dichiarazione di Enrico Pelillo, avvocato della famiglia Gambirasio: "Giustizia è fatta, le carte processuali dicono che la sentenza andava confermata".

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Bossetti era stato arrestato il 14 giugno del 2014 nel cantiere in cui lavorava a Dalmine. Secondo l'accusa, gli elementi contro di lui erano granitici e la sentenza di primo grado era stata "ineccepibile". Dalla prova del Dna - aveva detto il sostituto pg Marco Martani che ha sostenuto l'accusa nel processo di secondo grado - era arrivata "l'assoluta certezza della sua responsabilità".

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C'erano stati poi una serie di indizi che avevano fatto da corollario: il suo furgone nelle immagini delle telecamere vicine alla palestra di Brembate di Sopra da cui Yara, che praticava ginnastica ritmica, scomparve il 26 novembre 2010; le fibre trovate sul corpo della ragazza, compatibili con quelle dei sedili del Fiat Daily del muratore. Da qui la richiesta fatta da Martani della conferma del carcere a vita, pena che, secondo il sostituto pg, andava resa ancora più severa con sei mesi di isolamento diurno per aver "incolpato" un collega cercando di indirizzare le indagini su di lui. Da quest'ultima accusa di calunnia in primo grado Bossetti era stato assolto.

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