Nessuno potrà dire che non sapevamo. La Libia è una trappola infernale per centinaia di migliaia di persone, ed è proprio in quel paese dilaniato dai conflitti che l’Europa e il governo italiano hanno deciso di internare i migranti che provano a scappare dall’Africa.

Ci sono le puntuali testimonianze di chi arriva sulle nostre coste, i resoconti delle associazioni non governative e adesso anche le immagini drammatiche girate da un giornalista somalo che vive in Turchia.

Salman Jamal Said ha registrato una video chiamata-appello di mezz’ora contattando un gruppo di persone tenute prigioniere dai passeurs nel sud della Libia. Lo ha raccontato piangendo alla redazione di Jeune Afrique: “Sono stato contattato da un migrante del campo, un somalo, che mi ha permesso di avere questa conversazione video e, con il loro permesso, ho registrato tutto per poter mostrare il loro calvario”.

Secondo il giornalista ci sarebbero prigionieri che da anni stanno aspettando dai parenti una somma di denaro sufficiente per ottenere la libertà (tra 8 e 10 mila dollari a testa).

Sono testimonianze agghiaccianti. Ossa spezzate, denti strappati, umiliazioni e torture.

“Sono qui da un anno – racconta un somalo – e mi picchiano tutti i giorni. Vi giuro che non mangio niente, il mio corpo è coperto di ferite”. Nel video si vede un ragazzo sdraiato sulla pancia con una grossa pietra sulla schiena, “mi hanno spaccato un dente e una mano e tre giorni fa mi hanno messo questa pietra, mi fa malissimo”.

E’ prigioniero da 11 mesi insieme ad altre 270 persone e spiega di non poter procurarsi 8 mila dollari. Molti ragazzi si alternano alla telecamera per mostrare il corpo piagato dalle ferite e i denti che mancano.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha visto il filmato e sta cercando di localizzare il campo di concentramento per tentare di salvare i prigionieri, “ma non è affatto semplice perché la Libia è un paese estremamente pericoloso” – spiega il portavoce Leonard Doyle.

Per Carlotta Sami (Unhcr) “questo episodio rivela una realtà che esiste ormai da anni in Libia, non c’è migrante che non sia passato da questo paese e non lo abbia descritto come un inferno”. La situazione è “estremamente preoccupante” anche nei campi di detenzione ufficiali, dove negli ultimi 15 mesi l’Alto commissariato Onu è riuscito a far liberare più di 800 persone.

La conferma di questo orrore è cronaca quotidiana anche sulle nostre coste.

Sono le testimonianze di chi crede di avercela fatta e ancora non sa che un giorno potrebbe essere rispedito proprio in Libia. Gabriele Eminente, responsabile di Medici senza frontiere Italia, è in servizio su una nave che ieri è approdata a Reggio Calabria con a bordo 28 ragazze incinte. “Spesso non si tratta di gravidanze cercate, sono frutto di violenza – spiega – una di queste ragazze si è resa conto di essere incinta durante la visita medica a bordo. E ci ha raccontato che aveva subìto violenza durante l’attesa in Libia”.

Eminente ha sotto gli occhi i segni delle torture inflitte anche agli ultimi migranti salvati in mare, novecento solo l’altra notte, “non è la prima volta che lo vediamo”. Sono persone sofferenti anche per non essere stati alimentati a sufficienza, per aver avuto pochissima acqua da bere e per essere stati rinchiusi diversi mesi “in centri del tutto inaccettabili da qualunque punto di vista”.

E allora vengono i brividi quando la Guardia costiera libica di Tripoli, proprio ieri, annuncia di aver salvato 8.094 migranti nelle sue acque territoriali nella prima metà di quest’anno.