Milano, 19 luglio 2017 - 22:55

«Ho cercato la verità sugli abusi
Misericordia? Prima la giustizia»

Il cardinale che fu vescovo a Ratisbona: «In questi anni ho provato vergogna»Ma si difende: «Non ho mai tutelato l’istituzione, anzi fui io a far partire l’indagine»

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«In questi anni ho sperimentato la vergogna, per quanto accaduto nella Chiesa». Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, 69 anni, teologo e curatore dell’opera omnia di Joseph Ratzinger, fino a venti giorni fa prefetto dell’ex Sant’Uffizio, fu vescovo di Ratisbona dal 2002 al 2012. «Ho sempre creduto che la misericordia nella Chiesa non è possibile senza una vera giustizia», scandisce.

Eminenza, ieri l’avvocato Ulrich Weber, nel presentare il rapporto su Ratisbona, l’ha accusata di «debolezza strategica, organizzativa e comunicativa» al tempo in cui, nel 2010, si cominciò a parlare di violenze e abusi sui Domspatzen, i bambini e ragazzi del coro della cattedrale. Non avrebbe insomma fatto abbastanza per cercare la verità, preoccupato di difendere l’istituzione. Quale fu la sua reazione allora?

«In realtà, fui io ad avviare il processo di informazione. Incaricai un team di esperti perché investigassero su fatti che sono accaduti cinquant’anni prima del mio mandato come vescovo di Ratisbona. Nel sito web della diocesi c’è una grande documentazione con tutti i passi del nostro lavoro. In questa prima fase, fra il 2010 e il 2012, si fece tutto ciò che era possibile e necessario. Ulrich Weber mi ha anche ringraziato per questa iniziativa. Sette anni dopo è troppo facile giudicare degli inizi, quando ancora sapevamo poco. E poi non è il vescovo ad organizzare e comunicare il lavoro delle persone incaricate di questo compito. Mai ho difeso l’istituzione, piuttosto ho difeso i Domspatzen di oggi, che nulla hanno a che vedere con questi crimini compiuti 50 anni fa».

Ha fatto bene il vescovo di Ratisbona Rudolf Voderholzer a volere questa inchiesta?

«Sicuro. Ma lui ha preso questa iniziativa tre anni dopo la mia partenza, in base a nuove informazioni. Non si può fare confusione sulle tappe di un processo di indagine durato sette anni e mezzo. Io ho partecipato al lavoro solo nei primi due anni».

Padre Hans Zollner ha detto al «Corriere» che la strada è quella giusta, «la verità vi farà liberi»: la Chiesa, facendo luce sul passato senza paura, rende più credibile il suo impegno della lotta alla pedofilia e per la prevenzione. È d’accordo?

«Senz’altro, è sempre stata la mia massima. Come capo di un Supremo Tribunale della Chiesa, sono stato sempre assolutamente determinato nel far dimettere quei chierici che lo meritavano, sempre nel pieno rispetto del diritto di difesa. Devo ribadire una volta in più che qualsiasi accusato, nella Congregazione per la Dottrina della Fede, ha goduto della presunzione di innocenza fino alla fine del processo, e che allo stesso tempo non ho mai negato la voce a nessuna vittima. Tutto questo nonostante le pressioni subite, soprattutto mediatiche. Sono convinto che una giustizia imparziale ed equa sia il migliore aiuto e contributo della Santa Sede ai vescovi del mondo. Solo così potranno poi mostrare l’affetto materno della Chiesa e la riparazione, per quanto possibile, del danno materiale e spirituale subito dalle vittime».

C’è chi ha collegato la fine del suo mandato all’ex Sant’Uffizio con l’imminente presentazione del rapporto su Ratisbona. Ha senso collegare le due cose?

«No, non hanno nulla a che vedere né temporalmente né materialmente. Questi avvenimenti sono accaduti tanti anni prima del mio servizio come vescovo di Ratisbona e io ho fatto il mio dovere».

Circolano molte dietrologie sul fatto che il Papa abbia nominato un nuovo prefetto della Congregazione al termine del suo mandato quinquennale. Come lo spiega?

«Non mi sono dato spiegazioni. Non poteva essere per la mancanza di ortodossia o di capacità teologica. Anche nel perseguire gli abusi su minori ho seguito sempre la linea di tolleranza zero».

L’avvocato Weber ha detto anche che Georg Ratzinger «ha distolto lo sguardo o comunque ha mancato di intervenire». È una considerazione giusta?

«Non ero a Ratisbona nel tempo in cui Georg Ratzinger fu maestro del coro, tra il 1964 e il 1994, ma sono convinto che lui non sapesse nulla. Ci fu il caso di un assistente che aveva abusato di parecchi ragazzi, nel 1972: contro di lui istruimmo nel 2010 un processo canonico, dopo averlo saputo».

A Ratisbona si parla di 547 casi di violenze dal 1945 al 1992: punizioni corporali e 67 abusi sessuali. Com’è potuto accadere? È vero, come si dice, che nella società tedesca le punizioni corporali erano diffuse ai tempi?

«Purtroppo questi numeri sono veri. Riguardo agli abusi sessuali, si tratta di relativamente pochi delinquenti, nove, che hanno spesso fatto tante vittime. Non dico gli schiaffi, ma le violazioni corporali e psichiche erano crimini anche nel passato. Come uomo di Chiesa faccio mia la sofferenza delle vittime, delle loro famiglie e delle comunità. Parliamo di delicta graviora, i delitti più gravi. Perché la Chiesa non è una qualsiasi istituzione mondana ma il Corpo di Cristo, il Popolo di Dio».

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