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Caccia, «no all’invasione di doppiette dalla pianura»

I bellunesi fanno fronte comune contro la nuova legge regionale De Menech è preoccupato: «Il modello Belluno funziona, perchè cambiarlo?»

di Fabrizio Ruffini
2 minuti di lettura
BELLUNO. Se una cosa funziona bene, perché bisogna cambiarla? Su questo semplice ragionamento si è sviluppato l’incontro organizzato dall’onorevole Roger De Menech con i rappresentanti della Provincia e delle tante associazioni venatorie del territorio per discutere le modalità d’opposizione alla nuova legge regionale in tema di caccia che approderà in consiglio nei prossimi giorni.

«La gestione della caccia sul nostro territorio funziona benissimo», ha spiegato De Menech, «tanto da essere presa come modello da molte realtà alpine e nazionali. Io penso che su temi dove sappiamo di essere forti bisogna, come bellunesi, fare fronte comune per poterci vedere accordare una vera autonomia: un’autonomia praticata e non solo teorizzata. Sono contento di vedere una grande partecipazione alla discussione e che le associazioni siano d’accordo con me, ma a volte vedo troppa timidezza per portare avanti le nostre ragioni, l’obbiettivo è un fronte comune».

Il rospo che i cacciatori bellunesi proprio non vogliono ingoiare riguarda la cosiddetta migrazione dei cacciatori di pianura verso le riserve montane. Con il nuovo decreto, infatti, il legame tra cacciatore e territorio verrebbe messo da parte: «Oggi la priorità d’utilizzo delle riserve di caccia è data ai residenti», spiega Pierluigi Svaluto Ferro, assessore alla caccia della Provincia di Belluno, «con le nuove direttive regionali si rischiano migrazioni di cacciatori da una zona all’altra, cosa che porterebbe a un disequilibrio nella gestione della fauna». «I problemi d’immagine verso l’opinione pubblica sono noti», ha aggiunto De Menech, raccogliendo le perplessità della platea sul futuro del ruolo del cacciatore montano, «spesso si ignora l’importanza della figura del cacciatore nella gestione del territorio, come ad esempio il censimento degli animali e la regolamentazione delle presenze; mantenendo la nostra idea di attività venatoria, avremmo un’arma in più per poter dimostrare nei fatti il ruolo fondamentale di questa attività nei confronti della natura e delle zone montane».

Accorati i timori arrivati dalla sala gremita che più volte hanno fatto riferimento al nome di Sergio Berlato, presidente della Terza Commissione consiliare permanente e tra i sostenitori della legge, accusato di «difendere solo i diritti dei cacciatori del Basso Vicentino che rappresentano un suo grande bacino elettorale», come ha sostenuto con forza Giuliano Ezzelini, vicentino, presidente regionale e vice presidente nazionale di Arci caccia, che riferendosi ai cacciatori bellunesi ha aggiunto: «Abbiate più coraggio nel portare avanti l’idea di buona gestione che realizzate qui e vedrete che troverete molti più alleati di quanti crediate a sostenervi».

Il “modello Belluno” di gestione della caccia è stato elaborato nel corso di oltre trent’anni di lavoro, con il supporto di istituti di ricerca e università e la partecipazione attiva dei cacciatori, delle associazioni di categoria, delle istituzioni e delle riserve alpine. «I risultati della bontà di questa gestione sono scientificamente misurabili in termini di equilibrio ambientale, gestione della fauna e responsabilità di tutti i soggetti coinvolti. Quindi perché cambiarlo? La legge nazionale 157/92, la legge 50 e l’articolo 15 dello statuto Veneto possono tranquillamente assicurare un’autonomia bellunese in questo campo e la legge Delrio non ostacola questo tipo di deleghe alla Provincia ma anzi le rafforza».

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