Firenze

Little Steven: "Basta politica, ora scrivo per i giovani"

L'amico di Bruce Springsteen torna sul palco da solista, il 4 luglio a Pistoia Blues con i suoi disciples of soul. "Battersi contro Regan fu divertente, lui per molti era un dio e io un blasfemo bestemmiatore"

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Ci volevano le lunghe ferie concesse da Bruce Springsteen alla sua E Street Band perché Little Steven, il chitarrista  ormai simbolo del gruppo e amico fraterno del Boss (ma anche il bravissimo attore imposto da serie di successo come The Sopranos e Lilyhammer), si decidesse finalmente a colmare il lunghissimo periodo di silenzio solista. Un discorso interrotto 18 anni fa e che Steven Van Zandt ha ripreso con un album, Soulfire, e con una big band. I Disciples of soul, fondati negli anni Ottanta quando Springsteen stava lavorando all'album solista Nebraska. Ora il ritorno dal vivo: saranno in 15 sul palco del Pistoia Blues il 4 luglio, in piazza del Duomo alle 21, per una notte in cui  il pirata delle sei corde elettriche, insperabile bandana in testa, si avventurerà con la sua ciurma tra le onde spumose del rock'n'roll e del soul, riscoprendo le radici. Quando, cioè, collaborava con un altro mito, Southside Johnny. Ieri intanto il musicista è stato in consolle all'Hard Rock Cafè di Firenze per una lunga selezione rock.

Cosa è il soul per Little Steven?
«Più che studio le origini di questa musica, più che le trovo affascinanti. Pensiamoci: il gospel, la musica sacra degli afrooamericani, gli inni appassionati a Dio, escono fuori dalle chiese e si secolarizzano, trasformando il trasporto per il divino in quello fisico, carnale per un essere umano. Una musica che da sacra subisce una metamorfosi, facendosi romantica. Si mescola con il rhythm'n'blues e diventa una potente scossa di liberazione. Non è un processo pazzesco? E pensiamo anche a cosa è diventato tutto questo grazie alla Motown, che è molto di più di un'etichetta discografica: una fucina della modernità, che ha fatto del soul un'arte altissima, un laboratorio di sperimentazione mai visto prima nell'ambito della black music. Io, nel mio piccolo, non faccio altro che prendere tutto questo in pugno e scaraventarlo nel fragore della chitarra elettrica».

Il soul sta vivendo una nuova giovinezza.
«Il new soul è un fenomeno contraddittorio. Quello che finisce ai vertici delle classifiche, spesso, non è di qualità ma un artefatto in vitro creato per piacere alle masse. I veri innovatori creano nell'oscurità, non stravendono, si tengono lontani dal mainstream. A parte qualche rara eccezione, come Amy Winehouse. Ma nella sua musica c'era moltissimo passato. Anzi, era il vero punto di partenza».

A proposito di passato e presente della musica: gli anni zero hanno davvero ucciso il rock, come dice qualcuno?
«No, è ritornato là dove era esploso: nel sottobosco, nel culto. C'è poi quello che continua ad essere il motore del music business, ma conta su nomi che fanno parte ormai della storia: Rolling Stones e Paul McCartney che, a 50 anni dai loro esordi, sono protagonisti dei migliori concerti in circolazione; oppure Bruce Springsteen, U2, Aerosmith. C'è un grande ritorno al rock delle radici: nelle mie trasmissioni radiofoniche, o nel network di cui sono direttore, Syrius Satellite, la maggior parte della musica che trasmetto è fatta da band giovani o storiche che si rifanno ai classici».

Lei ha scritto canzoni per altri. Che differenza c'è con il comporre per se stesso?
«È molto più semplice, perché puoi dar libero sfogo alla tua creatività in un modo più universale. Certo, ci metti sempre del tuo, quello è inevitabile, ma puoi allargare la tua tavolozza sonora e di testo. Quando un giovane mi chiede da cosa deve cominciare per creare una canzone, io rispondo sempre di pensare ad un committente: Beatles, Rolling Stones, il gruppo che preferisce. Quando ho scritto per Southside Johnny, mi sono posto a metà della strada che da me conduceva a lui. Quando ho scritto per me stesso, sono venute fuori, invece, canzoni molto politiche perché io ho sentito sempre il bisogno di parlare dei problemi della gente. Ora la politica è dappertutto, ci ha saturati, ci sono i social dove tutti ne parlano, protestano, esprimono i loro dubbi, le paure, lo sdegno. Quel tipo di lavoro è diventato obsoleto. Ho deciso quindi di tornare alle origini. Mi è venuta voglia di scrivere cose nuove. Per farmi conoscere dai giovani ».

Per la sua volontà di far canzoni politiche, lei lasciò la E Street Band. Erano gli anni di Reagan. Trump non merita altrettanto?
«Battersi contro Reagan fu divertente perché, nonostante le malefatte, per molti era un dio ed io un blasfemo bestemmiatore. Adesso a guidare gli Stati Uniti abbiamo il diavolo in persona, che gusto c'è?».