Firenze, 14 maggio 2017 - 17:05

«Non riesco a odiare Schettino, non è scappato dalla giustizia»

Parla Kevin Rebello, il fratello del cameriere eroe morto nel naufragio della Concordia

di Antonio Valentini

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L’odio non è un lemma del vocabolario di Kevin Rebello. Lui non entrerà a far parte della schiera degli odiatori di Francesco Schettino, dal disastro della Concordia in poi assurto a simbolo negativo nazionale: «Tanta gente che ha commesso reati peggiori del suo è fuori dal carcere — spiega Kevin in un italiano condito da accento milanese — Se lui ora sta dentro è solo per il ruolo che rivestiva, per le responsabilità che gli competevano, non per aver ucciso volontariamente 32 persone».

La storia di Russel

Ironia della sorte, il fratello di Kevin, Russel, è stato l’ultimo ad aver abbandonato la nave, 1025 giorni dopo il comandante Schettino. Furono gli operai della Ship Recycling, il Consorzio genovese che si occupò dei primi lavori di demolizione, a trovarne il corpo, ancora avvolto dalla divisa di cameriere. Era in una cabina del ponte 8 che, quando la nave si inclinò, fu schiacciato dagli scogli della Gabbianara, poco distante il porto del Giglio, la sera del 13 gennaio 2012. Per Kevin fu un’attesa interminabile, a lungo trascorsa sul molo dell’isola, dove camminava con passo leggero e cellulare all’orecchio, senza mai alzare la voce, senza che una volta si sia dimenticato di ringraziare chi stava lavorando per restituirgli il corpo del fratello. Per lui c’è stato un prima e un dopo: l’ansia e l’attesa lunghe tre anni, conditi dalla speranza che almeno i resti di Russel fossero trovati, confluirono poi nella promessa fatta di dargli una degna sepoltura. «Ormai tutto è finito — aggiunge Kevin — La nave è stata rimossa e demolita, mio fratello riposa a Mumbai, la giustizia ha compiuto il suo corso».

La telefonata

Francesco Schettino è chiuso in una cella singola a Rebibbia. Ha atteso in auto la chiamata degli avvocati, poi si è consegnato per scontare la pena definitiva di 15 anni, sei mesi e sette giorni che la Cassazione gli ha inflitto, coltivando la speranza che passino in fretta i 5 anni necessari per avanzare la richiesta di misure alternative al carcere. Una delle ultime telefonate che ha ricevuto, poco prima di consegnare il cellulare, è stata proprio quella di Kevin: «A dire il vero non sapevo che fin da subito doveva presentarsi in carcere. Non si aspettava la chiamata, mi è parso sorpreso ma cordiale. L’ho cercato solo perché ho sentito una forte spinta umana, non per quello che è accaduto. Volevo salutarlo, non so se ho fatto bene o male. Però l’ho fatto».

La fede di Kevin

Kevin è spinto da una fede inossidabile. Per lui il perdono non è una parola vuota, densa di ipocrisia e intrisa di risentimento, ma la rinuncia a qualsiasi rivalsa. Con Schettino, in questi anni, si sono sentiti spesso, si sono idealmente incontrati a metà tra la mitezza di Kevin e la volontà di Schettino di raccontarsi, di rompere l’isolamento esistenziale in cui la condanna sociale l’ha confinato con anticipo rispetto ai tribunali. «L’ultima volta l’ho chiamato per Pasqua, ci siamo scambiati gli auguri. Ormai era diventata una prassi, quella di sentirci per le feste o in altre occasioni. Non abbiamo mai parlato del disastro, a cosa sarebbe servito? Ciò che doveva accadere, è accaduto, tutto quello che poteva essere scritto è stato scritto e l’odio verso Schettino non mi avrebbe dato indietro mio fratello, né l’avrebbe riportato alla moglie Wilma e al piccolo Rhys, che ora ha 9 anni. Mia madre Gladys la pensa diversamente, ma io rispetto il parere di tutti. Anche di quanti hanno scritto, nella mia bacheca Facebook, che nessuna pena potrà ripagare il male che ha fatto».

«Mi dispiace per lui»

Finora Schettino non ha avuto contatti con altri detenuti. Ma è probabile che presto, forse fin da oggi, sia trasferito in una cella comune. A Kevin resta solo una voglia pacata e tollerante di voltare pagina: «La giustizia ha impiegato 5 anni per giungere a una sentenza definitiva. Vuol dire che hanno svolto un lavoro meticoloso. Ho sempre detto che il vero responsabile, prima o poi, sarebbe finito in carcere. Così è stato. Tuttavia mi dispiace per Francesco Schettino e per la sua famiglia. Lui mica è uno che va per strada a uccidere le persone. E poi...». E poi quasi Kevin Rebello si immedesima, indossa gli abiti dell’antieroe nazionale per eccellenza: «Ha una moglie e una figlia. Non so neppure come si chiamino, ma so che hanno sofferto anche loro. Il disastro è avvenuto più di 5 anni fa, lui ha perso il lavoro. Come avranno fatto a tirare avanti? Poteva scappare, andarsene lontano al pari di tanti altri. Però è rimasto qui, ad aspettare che la giustizia facesse il suo corso».

«Un giorno lo vado a trovare in carcere»

Forse è proprio Kevin Rebello Russel, che come pochi ha sofferto per quel tragico inchino nello stillicidio dei giorni che passavano senza che il corpo del fratello fosse recuperato, l’unico amico che Schettino ha trovato dopo essere passato dall’altare alla polvere: «Eppure ci siamo solo sentiti per telefono. Magari un giorno vado a trovarlo in carcere, mi sono già informato su come presentare la domanda». Fra cinque anni l’ex comandante della città galleggiante che finì per investire un’isola causando 32 morti e danni ancora da definire, potrebbe essere fuori. «O forse prima — conclude Kevin — Dovesse esserci un indulto... Io non avrei niente da eccepire, dopotutto in giro ci sono tanti più pericolosi di lui».

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