Una lettera con la firma di cinque ministri europei è l’ultimo atto di una battaglia fiscale che rischia allargare ulteriormente la distanza che già divide Stati Uniti e Ue. Il destinatario è il Segretario americano al Tesoro, Steven Turne Mnuchin e l’oggetto riguarda la riforma fiscale lanciata da Donald Trump. Una mossa che è «causa di preoccupazioni significative» nel Vecchio Continente, scrivono i rappresentanti dei governi di Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna. Le cinque maggiori economie europee chiedono di «tenere a mente queste preoccupazioni durante i passi successivi» della riforma e sperano in un «compromesso bilanciato».

Si tratta di un’iniziativa intergovernativa, maturata una settimana fa durante la riunione dell’Ecofin, e non di una mossa targata Ue. Ma è l’ultimo capitolo di uno scontro in campo fiscale che vede da tempo Bruxelles con il fiato sul collo dei colossi del web americani, accusati di fare slalom tra i paletti fiscali europei. Questa volta, però, sono i governi del Vecchio Continente a lanciare l’allarme in senso opposto. Vogliono difendere le proprie imprese, convinti che le novità in arrivo dall’altra sponda dell’Atlantico possano danneggiarle profondamente, provocando «un impatto distorsivo» sul commercio internazionale e sugli investimenti.

La lettera – firmata da Peter Altmaier, Bruno Le Maire, Philip Hammond, Pier Carlo Padoan e Cristobal Montoro Romero – si sofferma sui tre punti più critici della riforma che rischia di non essere «in coerenza con gli obblighi internazionali sottoscritti» dagli Usa. Il primo contesta l’imposta del 20% sui pagamenti per beni e servizi alle società affiliate all’estero, che «impatterebbe sugli accordi commerciali», avrebbe un effetto discriminante «contrario alle regole internazionali fissate dalla Wto», e «sarebbe incoerente con gli accordi esistenti sulla doppia tassazione». In sostanza, secondo i cinque, questa misura imporrebbe una sorta di tassa sui profitti delle società residenti al di fuori degli Usa che non hanno una residenza fisica permanente negli States.

C’è poi il capitolo legato all’erosione della base imponibile. Il timore è per possibili conseguenze sulle transazioni finanziarie, con un effetto «estremamente dannoso» per il settore bancario e per le assicurazioni. La misura voluta da Washington avrebbe infatti un impatto sugli accordi commerciali che coinvolgono pagamenti a società straniere che sono tassate a un’aliquota uguale o più elevata degli Usa: in pratica le transazioni finanziarie transnazionali non sarebbero deducibili e soggette a una tassa del 10%, con un aumento delle spese «e una conseguente distorsione sui mercati internazionali».

Il punto che più allarma, però, è quello che prevede un regime fiscale preferenziale per «i redditi immateriali derivati dalle attività estere», cioè prodotti con la vendita o la concessione di licenze per beni e servizi per il loro uso al di fuori dagli Usa. La Casa Bianca intende ridurre l’aliquota al 12,5% e ciò, dal punto di vista europeo, rischia di caratterizzarsi come un «sussidio illegale alle esportazioni rispetto al consumo interno», in violazione delle norme della Wto.

I commenti dei lettori