Voucher, che fare?

Signori, ci (ri)siamo: siamo in uno dei non rari momenti pop della politica italiana, quelli in cui ci si sveglia un mattino e ci si scopre tutti o quasi “di sinistra”, o meglio con una irrefrenabile pulsione etica a combattere abusi, sopraffazioni e liberismo, e a dare la caccia all’homo homini lupus di hobbesiana memoria. In questi giorni questa pulsione etica, frammista alla solita discreta dose di paraculismo politico, ha colto il Pd, impegnato nello strenuo tentativo di scongiurare il referendum calendarizzato per il prossimo 28 maggio, sull’abolizione dei voucher e la modificaĀ della responsabilitĆ  solidale negli appalti.

Il Pd pare essersi convinto che, per limitare i danni politici, serva abolire sic et simpliciter lo strumento del voucher, nato per remunerare il lavoro accessorio e che ha subito diverse evoluzioni nel corso del tempo. In origine creato per contrastare il lavoro nero in ambito domestico, lo strumento si ĆØ progressivamente esteso a tutti i settori produttivi, industria inclusa, ed ĆØ divenuto il mezzo con cui attuare forme di elusione fiscale e contributiva (quasi) alla luce del sole. Diciamo quasi perchĆ© i buoni sono evidentemente la punta dell’iceberg del nero. Se ne usa uno per coprire un multiplo del tempo di lavoro effettivo.

Il forte aumento del ricorso ai voucher, testimoniato dalle statistiche, riguarda uno stock di ore comunque limitato, rispetto al totale dell’economia. Non serve essere specialisti per comprendere che il ricorso al voucher ĆØ la classica risposta adattiva del sistema a condizioni di elevata onerositĆ  del ricorso al lavoro regolare. Il referendum promosso dalla Cgil, che pure ĆØ stata pizzicata ad utilizzare i buoni lavoro (sia pure per retribuire dei pensionati), assume la classica valenza simbolica di lotta al Male ed alla Ingiustizia, tutto rigorosamente maiuscolo, ma non appare in grado di rispondere all’unica domanda: che fare, se aboliamo i voucher?

L’esito prevedibile sarĆ  che sparirĆ  anche quella scheggia di nero che veniva rimossa col ricorso ai buoni, ma nel frattempo avremo imbrattato i giornali di editoriali sul grande esito “progressista” dell’intera operazione di abrogazione. In Italia funziona cosƬ, da sempre: conta l’esito simbolico-ideologico, non quello sostanziale. E infatti la nostra inetta politica ha giĆ  avviatoĀ i suoi cinici calcoli: “dopo le amministrative” servirĆ  “ragionare” su nuovi strumenti amministrativi per sostituire gli abrogati voucher. Nel frattempo votiamo e vediamo di salvare le penne, poi si vedrĆ .

I voucher, per dirla con Susanna Camusso, sono la traccia del degrado e della svalutazione del lavoro. Possibile che sia cosƬ. Forse il punto ĆØ che il lavoro costa troppo, soprattutto in ambiti a basso valore aggiunto. Forse l’intero lavoro italiano ĆØ stato schiantato sotto il peso di una contribuzione insostenibile, favorendo il dilagare del nero per tenere in piedi un sistema previdenziale che la demografia ha nel frattempo affondato. Di certo, serve preliminarmente un’azione “definitoria” del concetto di “lavoro accessorio”. Dopo di che, si potranno disegnare gli strumenti per intervenire. Le attivitĆ  che rappresentano l’ambito di utilizzo elettivo del voucher non possono vedere il ricorso al nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti. Spesso, neppure al tempo determinato.

Quindi i nostri analiticiĀ legislatori dovranno fare uno sforzo di fantasia e non limitarsi alla pars destruens, altrimenti tra qualche mese organizzeremo dibattiti sul “che fare” per contrastare il ritrovato “dilagare di nero e precarietĆ ”. Difficile che la risposta a questa coperta sempre piĆ¹ corta risieda nella immancabile “patrimoniale” camussiana o in altri stati febbrili come l’uscita dall’euro per esportare pure la mamma e/o stampare i soldi per far felici pensionati, dipendenti e precari. Queste sono le soluzioni magiche di un paese bollito ed in mano a demagoghi e truffatori. Per il momento ci godiamo questo scoppio di progressismo, che gonfia i petti.

Per chi invece si pone problemi piĆ¹ operativi, cercando di osservare la realtĆ , segnaliamo e riportiamo l’intervista ad un ristoratore del Riminese, che compare oggi su Repubblica. Lo strumento contrattuale che potrebbe rimpiazzare i voucher sarebbe, in prima approssimazione, il contratto a chiamata o intermittente. Che tuttavia ha non poche rigiditĆ  amministrative.

La premessa del ristoratore:

Ā«PuĆ² capitare che al ristorante arrivi un gruppo piĆ¹ numeroso, oppure che uno dei camerieri a chiamata non possa venire. In quelle occasioni i voucher erano utiliĀ»

Per cosa utilizza i voucher?

Ā«Per gestire le situazioni meno prevedibili. Di solito siamo io e mia moglie che cuciniamo e serviamo ai tavoli, nei weekend ho un paio di dipendenti con contratto a chiamata. Ma puĆ² sempre succedere che, anche durante la settimana, una comitiva in arrivo da Bologna prenoti e il locale si riempia. In quel caso, un paio di volte al mese, contattavo un conoscente che ha perso il lavoro e ora ĆØ in cassa integrazione, pagandolo con i buoniĀ»

La soluzione per lei ĆØ trovare altri lavoratori a chiamata?
Ā«Ci proverĆ², ma ha poco senso per prestazioni che per natura non sono sistematiche. Il contratto a chiamata va registrato dal commercialista, ogni mese bisogna rilasciare una busta paga che costa 20 euro e che magari ĆØ vuota, se la persona non ha lavorato. E anche se ha lavorato per tre ore pagherei piĆ¹ il documento che il cameriereĀ»

Che succederĆ  allora?
Ā«Io credo che molti nella mia situazione torneranno al nero. Guardi, condivido la protesta contro questi buoni, non piacciono neanche me. Ma anzichĆ© abolire il voucher si potrebbe parificarlo a un’ora di lavoro regolare, con tariffe normali da contratto e relativi contributi. Costerebbe 16 euro l’ora, quanto la chiamata, ma rimarrebbe l’aspetto della praticitĆ . Bisognerebbe dare la possibilitĆ  di attivarlo dal sito dell’Inps, registrando l’inizio e la fine della prestazioneĀ»

La comunicazione all’Inps non ĆØ giĆ  obbligatoria?
Ā«Ma va inviata il giorno prima, e se poi ho bisogno di prolungare il servizio? Non credo sia difficile creare un sistema che consenta di farlo in tempo realeĀ»

Come si nota, non sarĆ  affatto facile trovare l’erede dei voucher, finita l’ubriacatura dei proclami ed incassata un’esaltante vittoria contro il turboliberismo che ci affligge. Molto piĆ¹ facile sarĆ  invece fare la ruota per aver “contribuito a combattere la precarietĆ  e lo sfruttamento”, come invece i nostri eroi scolpiranno, dal minuto successivo all’abrogazione. PerchĆ© noi italiani siamo fatti cosƬ, i problemi li spostiamo sotto il tappeto, in attesa che ci franino addosso.

Su tutto, resta il punto centrale: il lavoro costa troppo, rispetto al valore aggiunto prodotto mediamente dalla nostra economia. L’ipernormazione prodotta da uno stato diffidente verso sudditi che lo vogliono fregare causa ulteriori circoli viziosi ed oneri di sistema, che alimentano nuove evasioni, dagli obblighi fiscali e contributivi e dalla realtĆ . Attendiamo di capire in che modo verrĆ  risolta la battaglia ideologica dei voucher, ma nel frattempo non tratterremo il respiro.

Aggiornamento – Il dado ĆØ tratto. Sul ponte sventola bandiera nera.

Sostieni Phastidio!

Dona per contribuire ai costi di questo sito: lavoriamo per offrirti sempre maggiore qualitĆ  di contenuti e tecnologie d'avanguardia per una fruizione ottimale, da desktop e mobile.
Per donare con PayPal, clicca qui, non serve registrazione. Oppure, richiedi il codice IBAN. Vuoi usare la carta di credito o ricaricabile, in assoluta sicurezza? Ora puoi!

Scopri di piĆ¹ da Phastidio.net

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading

Condividi