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Lavorare nell’accoglienza al tempo della crisi del diritto d’asilo. Dentro e contro

Photo credit: Carmen Sabello, #overthefortress (Belgrado, febbraio 2017)

Il tempo della crisi

I diritti dei migranti sono gravemente sotto attacco. È questa la sintesi più efficace della fase politica che investe l’Italia e l’Europa. Si tratta di un attacco generalizzato e diffuso. Per cogliere la portata della contrazione dei diritti – in parte già attuata e in parte programmata – basterebbe scorrere le pagine degli atti normativi, nazionali e europei, e soffermarsi sul linguaggio utilizzato. Un certo lessico umanitario, che nel corso degli anni è stato utilizzato per edulcorare riforme peggiorative delle condizioni di vita e delle procedure di riconoscimento degli status, lascia ora il posto ad un linguaggio apertamente securitario, disciplinante, coercitivo. Si pensi, ad esempio, al suono sinistro delle parole centro di permanenza per i rimpatri, istituiti dal recente decreto legge.

Il problema non è, evidentemente, soltanto linguistico. La lettura delle ultime modifiche introdotte nella normativa italiana, e soprattutto delle proposte di riforma su scala europea delle attuali direttive in direzione di regolamenti immediatamente vincolanti e gravemente restrittivi dei diritti, da immediatamente l’idea di come, in ultima analisi, l’esistenza stessa del diritto d’asilo sia attualmente in pericolo.

La proposta di rendere obbligatoria, su scala europea, la procedura di inammissibilità per chi è transitato da un paese cosiddetto terzo sicuro, con lista vincolante a livello europeo, può potenzialmente escludere dall’accesso alle procedure un’ampissima percentuale di migranti, per i quali si prospettano rimpatri più rapidi, con meno garanzie e, soprattutto, numericamente molto più consistenti.

La politica degli accordi intergovernativi, con i quali l’Europa affida il controllo, il contenimento, il confinamento dei flussi migratori agli stessi paesi, di origine o di transito, dai quali i migranti fuggono, moltiplica in maniera esponenziale la portata di questo attacco generalizzato al diritto d’asilo. Lungo tutto l’immaginario percorso dal paese di origine a quello di accoglienza saranno disseminati ostacoli, filtri, barriere procedurali – ma anche fisiche, come i campi di contenimento – che impediranno l’arrivo in Europa a tantissimi potenziali rifugiati.

Si tratta, evidentemente, di un progetto articolato e complessivo di controllo della mobilità e selezione dei flussi. Il risultato di questo accurato dispositivo di gestione delle migrazioni mira a consentire l’arrivo in Europa ad una percentuale ridotta di migranti, verosimilmente selezionati in relazione alle esigenze economiche del mercato del lavoro delle società europee. Contemporaneamente – e questo è il dato politico più significativo – queste politiche sono un terribile strumento di produzione di assenze spettrali.

Spettri dell’accoglienza

Per ogni richiedente asilo, ogni titolare di protezione e ogni migrante presente nei centri di accoglienza c’è un numero incalcolabile e crescente di persone irrimediabilmente assenti, escluse, invisibili. Questa è la conseguenza diretta delle scelte politiche europee e italiane: la moltiplicazione di assenze spettrali.
La produzione di spettri dell’accoglienza – migliaia di donne e uomini ai quali è impedito di partire, di transitare, di arrivare, di accedere alle procedure – è destinata drammaticamente ad aumentare. Donne, uomini e bambini che avrebbero potuto trovare accoglienza nei centri nei quali lavoriamo, avrebbero potuto rivolgersi ai nostri sportelli di orientamento, ai nostri corsi di italiano. Persone con le quali avremmo potuto costruire percorsi e reti solidali o, molto più semplicemente, con le quali avremmo potuto socializzare e stringere amicizie, che invece non ci sono e non ci saranno. Donne, uomini e bambini che si aggiungono all’elevatissimo numero di morti nel tentativo di attraversare il mediterraneo. Il 2016 è stato un anno terribile, e l’inizio del 2017 sembra confermare la tendenza.

È un tema così attuale e così direttamente collegato alle politiche migratorie – e quindi anche al nostro lavoro – da rendere urgente un’ampia riflessione e una forte presa di parola da parte di chi lavora nel mondo dell’accoglienza, in una fase politica così delicata e decisiva. Siamo anche noi, operatrici e operatori dell’accoglienza, davanti ad un bivio. Non è ipotizzabile continuare a svolgere il nostro lavoro ignorando quello che accade all’esterno dei nostri centri e dei nostri servizi.

Dentro e contro

Esistono molteplici ed eterogenee esperienze di attivismo, che ci possono vedere protagonisti. È necessario e possibile mettere a disposizione i nostri saperi, il nostro punto di vista privilegiato sulle prassi delle questure e delle prefetture, sulle decisioni delle commissioni, sulla gestione dei centri e sull’adeguatezza dei servizi e il nostro impegno al sostegno, ad esempio, dei movimenti e delle reti solidali, insieme ai migranti e agli attivisti che costruiscono iniziative politiche di contestazione e di proposta, e che organizzano pratiche mutualistiche in difesa dei diritti di cittadinanza di tutti. C’è un mondo al di fuori dei nostri centri che ha bisogno del nostro punto di vista e che, viceversa, può consentirci di maturare una visione più ampia e più complessiva sul nostro lavoro e sulle nostre responsabilità politiche.

L’attacco generalizzato al diritto d’asilo finirà, direttamente o indirettamente, per trasformare anche il nostro lavoro. I mesi che abbiamo davanti saranno decisivi. La politica degli accordi con i paesi di origine e di transito e la nuova normativa europea in fase di discussione rischiano di stravolgere ulteriormente le politiche migratorie, in direzione di una nuova e ampia contrazione dei diritti.

Ci sarà un tempo, tra dieci o vent’anni, nel quale anche noi saremo chiamati a rendere conto di quello che facevamo mentre era in corso un attacco così generalizzato al diritto d’asilo, mentre l’esclusione indiscriminata di donne, uomini e bambini – una moltiplicazione di assenze spettrali – era programmata e attuata. Probabilmente non servirà a molto raccontare di come svolgevamo con professionalità e dedizione il nostro lavoro, nel nostro centro di accoglienza, all’interno del nostro sportello legale, mentre all’esterno delle nostre strutture la crisi delle politiche migratorie produceva effetti drammatici sui corpi e nelle vite di migliaia di persone. Anche e soprattutto noi, che operiamo ogni giorno all’interno dell’accoglienza, saremo chiamati a rispondere del ruolo politico che abbiamo – o non abbiamo – assunto in questa specifica fase storica.

È tempo di occuparci direttamente delle politiche, italiane ed europee, di gestione dei flussi migratori. Riguardano direttamente il nostro lavoro, e anche le nostre vite. È tempo di attivarci, prima che sia troppo tardi, per i migranti – per quelli attualmente in cammino e per chiunque vorrà venire qui – e anche per noi stessi.

Francesco Ferri

Sono nato a Taranto e vivo a Roma. Mi occupo di diritto d'asilo, politiche migratorie e strategie di resistenza sia come attivista sia professionalmente. Ho partecipato a movimenti solidali e a ricerche collettive in Italia e in altri paesi europei. Sono migration advisor per l’ONG ActionAid Italia.