È salato il conto della crisi delle banche: mettendo insieme le varie situazioni, solo nel 2016 la ricchezza bruciata è stata di circa 18,8 miliardi di euro, più o meno l’1% del Pil. Il big bang è stato la risoluzione delle quattro banche del novembre 2015. Da lì è successo di tutto: i crediti deteriorati — gli ormai famosi Npl, non performing loan — sono diventati il problema più urgente degli istituti nonché la causa principale della sfiducia dei mercati. Risultato: dapprima Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno mancato aumento di capitale e quotazione e sono state salvate in extremis dal Fondo Atlante con 2,5 miliardi (che non bastano già più). Quindi gli stress test a luglio hanno fatto emergere gravi carenze in Mps, mentre Carige ha subìto la crescente pressione della Bce per la pulizia dei bilanci dagli npl.
Le conseguenze per i risparmiatori, azionisti o obbligazionisti che siano, sono state pesanti: i 150 mila soci Mps hanno visto bruciati in un anno 2,6 miliardi in Borsa, senza considerare gli 8 miliardi di ricapitalizzazioni dei due anni prima, e ora saranno diluiti ancora con la ricapitalizzazione precauzionale del Tesoro fino a 8,8 miliardi, come chiesto da Bce; quelli di Carige, 700 milioni (dopo 850 milioni di aumento di capitale); quelli di PopVi e Veneto Banca tra 8 e 11 miliardi, a seconda del prezzo di acquisto del titolo, e potranno ora ottenere il rimborso solo del 15% di quel valore.
Per Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti, CariFerrara si conosce la perdita per gli oltre 12 mila obbligazionisti, circa 431 milioni di euro, ma non quella per i 134 mila ex soci. Sulla base dei dati diffusi da Banca d’Italia si può stimare in circa 7 miliardi il patrimonio bruciato per coprire le perdite sugli npl azzerando azioni e bond subordinati. E solo i bondholder potranno recuperare l’80% dell’investimento grazie al rimborso forfettario, richiesto praticamente da tutti, ma solo se potranno accedervi in base al reddito (meno di 35 mila euro) o al patrimonio (meno di 100 mila euro investiti).