Milano, 14 gennaio 2017 - 08:47

Catia, la vigile sopravvissuta
alla strage di via Palestro:
«Io, vittima (anche) dei furbetti»

Il 27 luglio 1993 era al suo primo servizio su un’autopattuglia: rimase traumatizzata, ma il sostegno psicologico di cui aveva bisogno le è stato riconosciuto soltanto dieci anni più tardi e dopo diversi crolli. «Stare in ufficio non è una vacanza»

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Si chiama «Lavoro condizionato» e permette a chi ne ha bisogno, per motivi di salute, di svolgere soltanto alcune mansioni e non altre. Per esempio a un vigile di stare in ufficio e non per strada. Sono in tutto 482 nella polizia locale di Milano e la sovrintendente Catia Cucchi è una di loro. Dal 1993. «Avevo paura a stare in mezzo alla gente — racconta — e quando nel 2009 mi hanno mandato di nuovo per strada, a San Siro durante una partita, mi sono sentita male».

Per capire l’origine di quel malessere bisogna fare un salto indietro di quasi 24 anni, quando Catia Cucchi era vigile urbano soltanto da due mesi e ha prestato il suo primo servizio su un’autopattuglia per sostituire un collega malato. Era il 27 luglio 1993 e toccò proprio a quella pattuglia intervenire in via Palestro dopo la segnalazione di un’auto che perdeva fumo. Questione di istanti e di centimetri: il collega Alessandro Ferrari si avvicinò per leggere la targa e mandò lei a fermare il traffico dall’altra parte. Così della tremenda esplosione che inghiottì il ghisa, tre vigili del fuoco e un ambulante marocchino a lei arrivarono soltanto il boato e una ventata calda. Illesa. Almeno nel fisico. «Ma da quel momento non sono stata più io», ricorda.

E così, ancora oggi, Catia Cucchi non presta servizio per le strade, ma si occupa di ricorsi negli uffici di via Legioni Romane. Quell’esplosione, la voce del collega che le dice «tranquilla» mentre si incammina verso quella maledetta autobomba targata Cosa nostra, le notizie sulla strage milanese hanno mandato in frantumi parte della sua persona. Ma sin da subito si è capito che non sarebbe stata trattata da eroina: il sostegno psicologico di cui aveva bisogno le è stato riconosciuto soltanto dieci anni più tardi e dopo diversi crolli. Nel ventennale della strage le è stato conferito l’encomio del sindaco, «ma nel frattempo sono continuate le illazioni su di me, perché non è vero che sia facile essere esentati dai servizi esterni. E se c’è qualcuno che fa il furbo finisce per danneggiare innanzitutto chi ne ha davvero diritto».

Appunto, ma in piazza Beccaria ci sono o non ci sono i furbetti del certificato medico? «Io francamente non ne conosco e posso soltanto dire che esiste una commissione apposita e che non è per niente facile superare quel filtro, che peraltro si ripropone ogni due anni». E racconta delle ostilità incontrate proprio all’interno tra i suoi colleghi e alcuni superiori che a più riprese hanno cercato di rispedirla per strada, «dove finivo per sentirmi di intralcio. E comunque — aggiunge — mi creda, la mia non è affatto una vacanza».

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