Milano, 6 novembre 2017 - 09:35

Josè Garramon, appello a Strasburgo «Giustizia inadeguata in Italia»

La madre del piccolo investito nella pineta di Castel Porziano da Marco Accetti, sedicente rapitore di Emanuela: «Voglio la verità, la Corte europa dei diritti dell’uomo mi darà ragione». Aveva già incontrato il Papa

Papa Francesco con Maria Laura Garramon, mamma di Josè Papa Francesco con Maria Laura Garramon, mamma di Josè
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Era un bimbo bellissimo, col suo caschetto di capelli neri, gli occhi languidi e quel neo sul collo da tempestare di baci. A sua mamma, Maria Laura Bulanti in Garramon, quel ragazzino manca da quasi 34 anni... Josè era il suo primo figlio, avuto giovanissima, come in un sogno, con un uomo potente, suo marito, che girava il mondo per conto di un’organizzazione importante come la Fao, ma poi - immensa, imprevedibile - era arrivata la tragedia. Quel 20 dicembre 1983 in cui le telefonarono per dirle che il piccolo era morto in un incidente nella pineta di Castel Porziano, travolto da un furgone guidato da un giovanotto equivoco, mai avrebbe immaginato di trovarsi catapultata in uno dei cold casepiù complessi della storia. Ciononostante, non si è rassegnata. Mai, neanche per un minuto. Un terzo di secolo non è bastato a farle dimenticare: «Voglio la verità e l’avrò, lo giuro. Visto che la giustizia italiana non ha saputo accertare ciò che accadde in pineta e perché mio figlio era finito lì - dice con voce vibrante dall’Uruguay, dove è tornata senza il suo bambino in quell’orrido inverno - allora sarà la giustizia europea a chiarirlo. Io non mollo...»

La ricostruzione

Josè Garramon, travolto e ucciso nel dicembre 1983 in una pineta. Il furgone era guidato dall’uomo che si è autoaccusato del sequestro Orlandi
Josè Garramon, travolto e ucciso nel dicembre 1983 in una pineta. Il furgone era guidato dall’uomo che si è autoaccusato del sequestro Orlandi

Orlandi-Garramon, gialli intrecciati. A 24 ore dalla notizia dell’arresto per evasione dai domiciliari di Marco Accetti, il fotografo indagato per il sequestro della «ragazza con la fascetta» nonché l’investitore di Josè, è la stessa signora Garramon ad annunciare l’ultimo fronte: battaglia legale a Strasburgo. Il ricorso di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo, depositato in estate dal suo avvocato Mario Antonio Angelelli, è stato considerato «ricevibile» e dovrebbe essere presto esaminato nel merito. «Giustizia italiana non adeguata, indagini sbagliate, parti offese sminuite». Il j’accuse ruota attorno a questi concetti: 9 pagine di ricostruzione in fatto e in diritto, chiuse dalla richiesta alla Corte di pronunciarsi «sulle doglianze della ricorrente al fine di giungere ad una più accurata indagine in merito alla morte del giovane Josè Garramon».

Marco Accetti: «Io, rapitore della Orlandi»
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Le violazioni

Marco Accetti, superteste e reo confesso del caso Orlandi, non creduto dalla giustizia italiana e prosciolto
Marco Accetti, superteste e reo confesso del caso Orlandi, non creduto dalla giustizia italiana e prosciolto

Il punto centrale del giallo è sempre lo stesso, un mistero che la recente inchiesta sul caso Orlandi (conclusa con l’archiviazione) non ha illuminato neanche di sguincio: come potè il ragazzino, che viveva con la famiglia all’Eur, raggiungere la pineta venti chilometri più giù, verso il mare? E, ancora: dice il vero Accetti quando afferma che il ragazzino gli piombò sul muso del Ford Transit per puro caso, mentre lui era «in missione» nella boscaglia per la Orlandi, essendo Emanuela «reclusa» in una roulotte poco distante? Sono domande inquietanti, sospese da decenni. Alle quali, argomenta Maria Laura, che in tempi recenti è stata ricevuta anche da papa Francesco, «si sarebbe potuto rispondere se non fossero stati violati gli articoli 2, 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

Parte offesa

Nel mirino, in particolare, l’ordinanza di archiviazione dell’inchiesta dello scorso febbraio, che «in aggiunta ad una attività istruttoria inadeguata ha frustrato la possibilità di accertare le responsabilità»; la violazione del principio della «parità delle armi», vale a dire il presunto ridimensionamento del diritto della parte offesa di far valere, attraverso memorie o altro, il proprio punto di vista; e, infine, l’assenza di strumenti tali da rendere un ricorso «effettivo e fattuale», non una mera opportunità. Parola a Strasburgo, dunque: oltre un terzo di secolo dopo, adesso si gioca l’ultima carta. Nel nome di Josè, del suo bel viso infantile e delle altre vittime di un giallo infinito. (fperonaci@rcs.it)

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