Milano, 13 gennaio 2017 - 22:07

Lombardi, l’italiano tra Trump e LePen: «Il trumpismo? È nato da noi»

Guido Lombardi, il vicino-messaggero tra i populisti d’Europa, imprenditore immobiliare 60enne di origini italiane, emigrato negli Usa negli anni 70. Vive a New York, nella Trump Tower, 3 piani sotto «the Donald»

Marine Le Pen accanto a Guido Lombardi nel Trump Tower (Afp) Marine Le Pen accanto a Guido Lombardi nel Trump Tower (Afp)
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Fino a qualche tempo fa Guido «George» Lombardi era per i media solo il vicino di casa di Donald Trump nell’imponente grattacielo al 721 della Fifth Avenue, New York.
La foto che lo ritrae seduto accanto a Marine Le Pen nel Trump Tower, diventata virale nelle ultime ore, rafforza però l’ipotesi che il sessantenne imprenditore immobiliare di origini italiane, possa essere davvero — come ha scritto il sito Politico — «l’ambasciatore di Trump presso l’estrema destra europea».
Lombardi — raggiunto telefonicamente dal Corriere — smentisce l’etichetta ma non la sua attività di lobbying transatlantica per il presidente eletto. Ha lavorato per Trump durante la campagna, lanciando decine di pagine social a lui dedicate, e continua oggi dialogando con politici e businessmen europei. «Conosco tutti», sintetizza. È suo il cellulare che squilla quando leader populisti del Vecchio Continente— dall’ungherese Orban alla citata Le Pen — vogliono provare ad avvicinarlo.

Marine Le Pen non ci è riuscita. Come mai?
«Sapeva fin dall’inizio che non avrebbe incontrato Trump. Il presidente non incontra leader stranieri se non, come nel caso del primo ministro giapponese, per parlare di posti di lavoro»

Shinzo Abe non è stato l’unico però...
«Se si riferisce a Farage, c’erano altre motivazioni: simpatie personali, diciamo».

Torniamo a Le Pen.
«Conosco Marine da venti anni, ho sempre detestato suo padre, mentre considero lei una grande leader. Mi ha chiamato una settimana fa e mi ha detto: “La campagna inizia il 1° febbraio, che dici se vengo ora?”. Ho organizzato un cocktail party a casa per farle incontrare un po’ di amici in vista della campagna francese».

Chi era presente?
«Non posso fare nomi: c’erano israeliani, un paio di rappresentanti delle Nazioni Unite, gente di Wall Street, alcuni russi e sostenitori di quella che io chiamo la «Trump francese». Il programma, il suo modo di fare, l’antipatia dei media nei suoi confronti: tutto lo ricorda».

«Politico» ha scritto che lei è l’ambasciatore di Trump presso i populisti europei.
«Io amo molto la stampa, a differenza di Donald credo che svolga un ruolo fondamentale. Se scrivono cose, io le leggo, accetto e sorrido».

Dunque è vero?
«Se Trump dichiara “il mio amico Guido fa questo per me” confermo, altrimenti no. Non voglio fare le italianate da quaquaraqua».

Possiamo dire che si adopera per lui senza un’investitura ufficiale. Corretto?
«Ecco sì. Lui sa sempre cosa faccio. Il giorno prima dell’arrivo di Marine l’ho avvisato. Lei informa il suo datore di lavoro se fa qualcosa di compromettente che riguarda l’azienda? Per me è lo stesso. Visto che c’è un rapporto di amicizia cerco di essere corretto».

Può dirci in che consiste la sua attività per Trump?
«Sono sempre stato preoccupato per la situazione in Europa: siamo sotto assedio. Sono un fanatico della cultura giudaico-cristiana e ci tengo che questi pilastri non vengano mandati all’aria. Ricordiamoci che il movimento di Trump, di cui io faccio parte, inizia molto prima di Trump».

Quando?
«Lo spirito del trumpismo è cominciato in Italia all’inizio degli anni Novanta con Umberto Bossi e la sua lotta contro l’establishment».

Adesso ci sono i «Cinque Stelle» che dicono di essere contro l’establishment. Media anche per loro?
«Non posso dire nulla perché il rapporto con Grillo è tramite terzi. Ho parlato con alcuni rappresentanti del sindaco di Roma: voglio fare un gemellaggio tra Roma e Washington D.C. Non è politica, è cultura».

È vero che continuate a invitare Berlusconi senza successo?
«Trump l’ha invitato di nuovo a Natale: non solo non è venuto, ma non ha neanche risposto».

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