Milano, 28 dicembre 2016 - 08:21

Allarme terrorismo, cento profughi
al giorno lasciano Milano

Gli stranieri «in transito» escono dai centri d’accoglienza. Se censiti dovrebbero fare qui richiesta di asilo

(Fotogramma) (Fotogramma)
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L’allarme non è nuovo, risale allo scorso agosto e fu diramato dal Copasir (Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti). «Cresce oggettivamente il rischio che dei militanti dell’Isis possano fuggire in Europa (dalla Libia, ndr) anche via mare». Dunque: infiltrati nel flusso dei profughi. Così, in quel periodo, venne organizza una serie di servizi coordinati dalla prefettura per controllare, a partire dalla stazione Centrale, i profughi che si aggiravano nei dintorni dei centri di accoglienza del Comune. Perché alcuni (il discorso valeva allora, come oggi) continuano a sfuggire alla rete delle identificazioni dopo gli sbarchi al Sud e arrivano a Milano, come tappa per i viaggi verso il Nord Europa.

L’allarme sui «non identificati» è stato rilanciato ieri dall’assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino. Nei mesi scorsi il blocco serrato delle frontiere in Francia, Svizzera e Austria ha interrotto il passaggio, ma oggi la realtà milanese racconta che, da qualche settimana a questa parte, tra gli 80 e i 100 profughi o migranti lasciano Milano e la sua rete di accoglienza: dunque, presumibilmente, riescono a passare le frontiere e andar via dall’Italia. Sono persone soltanto «in transito»: se venissero fermate e censite (impronte prese in Italia), è qui che dovrebbero fare richiesta di asilo politico.

È un equivoco di fondo (o un’ipocrisia), che sta alla radice della politica italiana sui profughi a partire dalla prima emergenza, nel 2013: il nostro Paese salva le persone in mare, ma per lungo tempo (aggirando le procedure europee) ha fatto di tutto perché si fermassero il meno possibile in Italia. Quando il tema terrorismo s’è intrecciato con l’emergenza profughi, l’approccio è un po’ cambiato e s’è posta la necessità di un setaccio più approfondito, per evitare che a Milano e nel resto del Paese ci siano persone mai identificate.

Dopo un flusso enorme in estate, con oltre 700 profughi assistiti ogni notte all’hub di via Sammartini, «oggi la pressione si è ridotta e siamo in media poco sopra i 200 ospiti», racconta Alberto Sinigallia, presidente di Progetto Arca, che gestisce il centro. Gli operatori devono ora comunicare alle prime ore del mattino l’elenco degli ospiti ed è stato chiesto loro di segnalare qualsiasi elemento di sospetto: ma di fatto il rapporto tra i profughi ospitati nei centri di prima accoglienza e il Comune è tutto fondato sull’autocertificazione, perché chi lavora nei centri non ha la qualifica giuridica per chiedere i documenti. E qui torna l’equivoco di fondo: se tutti venissero identificati, nessuno potrebbe lasciare l’Italia (la legge europea obbliga a chiedere asilo nel primo Paese di arrivo) e così il sistema di accoglienza già allo stremo arriverebbe al collasso.

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