«Il dono della vita deve essere protetto e curato in tutte le circostanze. Ogni bambino è un dono prezioso di Dio e merita rispetto». Pertanto «se un prete è padre di un bambino, ha l'obbligo morale di lasciare il ministero e provvedere alla cura e le esigenze della madre e del figlio». Con queste parole il cardinale arcivescovo di Boston, Sean O’Malley, commenta i risultati dell’inchiesta pubblicata il 16 agosto scorso dal Boston Globe intitolata “I figli dei sacerdoti cattolici vivono nel segreto e nella tristezza”. 

Il report - svolto, tra gli altri, da Michael Rezendes, uno dei giornalisti che lanciò anni fa con i colleghi la grande inchiesta sulla pedofilia del clero negli Stati Uniti, a partire dai casi di Boston, divenuta famosa in tutto il mondo grazie al film Premio Oscar nel 2016 “Spotlight” - parla del destino di numerosi bambini, figli di sacerdoti e dunque di relazioni non ammesse dalla Chiesa, che crescono nell’abbandono e nella solitudine. 

Secondo il porporato, anche membro del C9 e presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, il benessere di questi ragazzi «è la priorità più alta». «Al momento della loro ordinazione - spiega - i preti cattolici fanno una promessa di celibato nella Chiesa e si impegnano a servire così le persone. Se un prete è padre di un bambino, ha l'obbligo morale di lasciare il ministero e provvedere alla cura e le esigenze della madre e del figlio. Il loro benessere è la priorità più alta». 

O’Malley rivela inoltre che, già lo scorso anno, la Commissione da lui guidata aveva ricevuto delle lettere riguardanti casi di figli di sacerdoti, ma «dopo un’attenta valutazione» si è convenuto che il tema andasse oltre il mandato affidato all’organismo. «La Commissione - sottolinea il porporato - cerca di assistere le diocesi nell’implementazione di programmi per la prevenzione degli abusi sessuali. Non rientra tra le nostre responsabilità entrare in casi individuali».

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