Milano, 7 gennaio 2017 - 07:32

Amatrice, - 18. Marina in roulotte:
«Freddo e paura ma restiamo qui»

Teniamo la porta accostata, pronti a scappare Ma è meglio il camper La notte scorsa con la tempesta di neve è stata brutta

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Minuscole lame di gelo sospinte da una tramontana potente tagliano la faccia, Marina si richiude alle spalle la porticina della roulotte e sospira: «Tragica. Ecco com’è la situazione. La notte passata in roulotte non ci si faceva a dormire dal freddo. E oggi si prevedono 18 gradi sotto zero. Ci mancava solo la bufera». Sono abituate al freddo le famiglie di Amatrice. Ma non così. E non quest’anno che, dal 24 agosto, il gelo non è più andato via dal cuore. Marina Santini ha due figli: Francesco, di 19 anni, e Benedetta 22. Il papà, Gianni il fornaio, è rimasto sotto le macerie. «I ragazzi erano passati pochi minuti prima a salutarlo. È morto lì», spiega Marina a chi non capisce perché c’è ancora chi nelle zone terremotate, a dispetto del volere della Protezione civile, vive in roulotte, in tenda, da solo o in campi «auto-organizzati». «Io la casa ce l’ho. Me l’hanno prestata amici che ci vengono in vacanza. Ma non ce la facciamo a dormirci. E così i miei ragazzi. Eravamo quasi convinti, ma la botta del 30 ottobre ci ha rimesso il terrore addosso. E non smette. Ha fatto una scossa l’altro ieri. Ogni tanto sentiamo il boato».

«Di giorno è diverso. Siamo con la porta accostata, pronti a scappare. Ma è meglio il camper. Certo, la notte scorsa con la tempesta di neve è stata brutta. Raffiche di vento fortissimo, la roulotte ballava, sembrava capovolgersi. Il telone sbatteva. Nemmeno Sasha, la cagnetta, riusciva a dormire. Viviamo come in un limbo. Le casette sono in ritardo. Con due figli e un padre affetto da demenza, che devo assistere, me ne spetterebbe una da 80 metri quadri, ma ne è arrivata solo una. E le richieste sono tante».

Di andare via non ci pensa neppure. «Sono venuta qui da Roma quando avevo otto anni. È la mia terra». Come scorre la giornata? «La mattina vado presto alla Caritas a prendere il pane. Arriva tutti i giorni, ma non si trova quasi mai, finisce subito. Alla mensa, tutti insieme il tempo scorre più in fretta. Le feste natalizie? Sono state bruttissime». Difficile rasserenarli. Eppure ieri il vescovo, monsignor Domenico Pompili, c’è riuscito. «È stato bello - spiega Francesco - vedere facce di ragazzi sereni. Ci serve. Ci aiuta. Anche se per prima cosa abbiamo parlato di terremoto. E noi non vorremmo più». Lui, appena uscito dalla scuola alberghiera, ad Amatrice non intende però rinunciare. Va tutto troppo lentamente. A cinque mesi dal terremoto ancora vediamo solo qualche container abbellito. Ma voglio stare qui e combattere. Questa è casa mia».

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