Milano, 30 dicembre 2016 - 21:36

Monica Bellucci: «Ho tradito,
sono stata tradita anch’io
e usata come un trofeo»

L’attrice: «Le mie figlie vengono prima di tutto, per loro cucino io. Non posso dire se resterò a vivere a Parigi. Il corpo è il mio strumento di lavoro: delicatissimo e violento»

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Non ti aspetti la leggerezza. La luce sgarzolina negli occhi. Il sorriso aperto. L’energia allegra, senza età. Quella con cui si profonde in mille scuse per il ritardo. Quella con cui telefona al padre, davanti alla cronista, per essere certa che si chiamasse proprio Ferdinando il bisnonno nato a Chicago al quale attribuisce il suo nomadismo, l’attitudine innata da viaggiatrice curiosa che è riuscita (e riesce ancora) grazie al lavoro di attrice a fare una continua scoperta umana. Ti aspetti il cortese distacco con cui accoglie i complimenti di tre giovanissime italiane che si avvicinano per farle i complimenti mentre è seduta su un divano appartato di un boutique hotel di Saint-Germain-des-Prés («So come muovermi senza essere vista», spiegherà dopo). Non ti aspetti l’assenza di filtri quando parla della sua quotidianità di mamma, o la gioia vivissima che traspare quando ricorda il duetto con Placido Domingo sul set di Mozart in the Jungle e si improvvisa Zerlina intonando «Là ci darem la mano, là mi dirai di sì...» («Non puoi capire che bello lavorare con un uomo di grandissima esperienza come lui che ha un piacere enorme a fare quello che fa»).

La filosofia di Snoopy

Monica Bellucci è una donna che sa sorprendere. Autoironica e consapevole, è in perfetto contatto con ciò che la rende felice. «Il segreto è sapere cosa vuoi. E io l’ho sempre saputo», spiega con semplicità mentre sorseggia l’acqua minerale con una fetta di limone, jeans e trench, la frangetta sbarazzina. «L’altro ieri un’amica per telefono mi ha raccontato una striscia molto efficace di Charlie Brown. C’è lui che dice a Snoopy: “Un giorno moriremo”. E il cane replica: “Sì, ma non gli altri giorni». Ecco, penso che la vita ci debba cogliere vivi, non già morti. E l’unico modo per tenere viva la vita è affrontarla con passione, perché ogni mattina dobbiamo avere voglia di alzarci, aprire la finestra e apprezzare il sole».

La maternità prima di tutto

Le sue passioni sono la sua vita: il cinema, le figlie, le amicizie, l’intimità. Non in quest’ordine. Colpisce la sua dimensione materna, che in fondo l’avvicina alle altre madri. Nel 2004 è nata Deva, la primogenita, nel 2010 Léonie; entrambe dall’ex marito Vincent Cassel. «È ovvio che le mie figlie sanno chi sono e che lavoro faccio. Ma spero di essere per loro una mamma e non un’immagine. Loro per me vengono prima di tutto, lo sentono. Adoro andare a prenderle a scuola, accompagnarle la mattina, fare i compiti insieme, metterle a letto. A casa parliamo italiano, fuori francese, a Londra inglese, dipende dal contesto. Conoscono cinque lingue. Certo che cucino per loro! Sono le uniche a credere che io sia un’ottima cuoca. Preparo la pasta, la carne, cose semplici. Il mio pezzo forte è il tiramisù, lo faccio con i savoiardi. Ma se devo organizzare una cena a casa con amici chiamo un’amica per farle preparare tutto oppure ordino da fuori». Non è severa. «Sono ferma, e pronta a discutere su tutto. Da poco, per esempio, Deva voleva fare un viaggio e le ho spiegato che non mi sembrava il caso che partisse a 12 anni in condizioni che non conoscevo. Lo stesso se mi chiede di dormire a casa di un’amica: voglio conoscere prima i genitori». Sul loro futuro ha soprattutto una speranza: «La cosa importante è che trovino qualcosa che le appassioni. Io le aiuterò e le appoggerò: se mi chiederanno di fare danza, di studiare canto o uno strumento, farò in modo che seguano la vocazione che sentono, senza scoraggiarle mai o tarparle le ali».

Sesso e amore

Il rapporto con il loro padre lo liquida con sincero stupore. «Ormai è un divorzio vecchio, sono passati più di tre anni!». Ma prende atto del legame che sopravvive. «Quando ci sono dei figli devi sempre fare in modo che rimanga un rapporto di rispetto: è di questa natura l’energia che poi resta in vita». Sui nuovi amori sorride e basta. «Quello è il mio giardino segreto e tale deve rimanere. Posso dire che sto continuando a coltivare la mia intimità di donna». Parlare di fedeltà le sembra complicato e la prende alla larga. «C’è un film di Gaspar Noé, con il quale ho già lavorato per Irréversible, che possiamo considerare un film porno, ma è anche un film sull’amore e sulle difficoltà di gestire i sentimenti per qualcuno e il desiderio sessuale verso altri. Le pulsioni sessuali possono portare a dei desideri che certe volte sono incongruenti con l’amore per un’altra persona e non combaciano con il rispetto. Non sempre è facile conciliarli. E parlo da donna che ha tradito e che è stata tradita, da donna che ha amato, che è stata amata, ma che è anche stata usata come un trofeo. Quindi credo che sia un bel dilemma gestire cuore e sessualità».

Il rapporto con Parigi

Nomade dentro, prima che per professione, l’ultima città di cui si è innamorata è Lisbona. «Ho comprato lì una casa per le vacanze. Ha molte somiglianze con Roma: i sette colli, il fiume che l’attraversa, il mare vicino». Parigi, però, è la sua base da quasi trent’anni. È qui che stanno crescendo le sue figlie. È qui che il 24 novembre scorso ha ricevuto all’Eliseo dal presidente François Hollande la légion d’honneur, l’onorificenza più alta attribuita dalla Repubblica francese. «È un riconoscimento al mio percorso artistico, ma anche un segno di grande affetto. Sono molto grata, Parigi per me è importante». Il terrorismo islamico, però, sta cambiando le prospettive. «Dopo gli attacchi del 13 novembre i francesi hanno dimostrato un coraggio pazzesco, hanno subito ricominciato a prendere il metrò, a ritornare nei ristoranti, a riempire i grandi magazzini. Non hanno cambiato le loro abitudini. Io quel giorno non c’ero, neppure le bambine. Ma quando ci fu l’attentato a Charlie Hebdo loro erano qui e io ero in Bosnia per girare il film con Emir Kusturica. Sono stati due giorni difficili. Amo Parigi, ma non si può dire ora cosa succederà, non so cosa farò se la situazione dovesse peggiorare». In quest’ottica le beghe politiche italiane — Referendum, Renzi, CinqueStelle a Roma, Sala a Milano — le sembrano davvero «piccole cose». Lo scenario è un altro. «Il mondo sta cambiando ovunque».

Cinquantadue film (che non ricorda)

Non ricorda quanti film ha girato (Wikipedia ne conta 52, escluse le serie tivù, i cortometraggi, le pubblicità). «Ho fatto di tutto, eh?», ammette ridendo. Ha recitato in italiano, in inglese, in francese, in serbo, in farsi, nella lingua dei segni. «La lingua non conta, la forza del cinema è l’immagine. Il tuo corpo è lo strumento con cui esprimi sensazioni: uno sguardo, un piccolissimo movimento della bocca, sono più importanti e più efficaci di quello che dici. È estremamente delicato e violento quando lavori con il tuo corpo». Questo le ha permesso una facile identificazione con Alessandra, la cantante lirica di Mozart in the Jungle in crisi artistica perché non si riconosce più la voce di un tempo. Le scene del suo topless con Gael García Bernal sono già diventate un cult in Rete. «Il corpo femminile a cinquant’anni non sfiorisce, è nel pieno della sua maturità. Rispetto al passato la nostra aspettativa di vita è enormemente cresciuta, nessuno si sognerebbe di definire vecchia una donna della mia età. Sono tantissime oggi le attrici alle quali vengono affidati ruoli bellissimi e molto sensuali, penso a Isabelle Huppert, Judi Dench, Helen Mirren. Ma conta l’energia, non l’età, e l’energia è legata all’anima. Certo, invecchiare spaventa tutti perché fa pensare alla morte. Ma invecchiare è l’unico modo per avere una lunga vita...».

L’amicizia e le donne

Lavorare per produzioni americane è diverso rispetto a quelle dei film d’autore (che pure ama fare), ma neppure tanto. «Cambiano le proporzioni, ovvio, i mazzi di fiori sono enormi, i caravan così grandi che ci potresti vivere dentro. Però poi davanti alla macchina da presa il tuo lavoro è lo stesso». Da quando ha calzato i panni di una cantante lirica ascolta Maria Callas, Montserrat Caballé e Beverly Sills. «Il Don Giovanni è la mia opera preferita». Non è scaramantica: «Non mi piace essere dipendente da cosine».
Le sue amiche sono attrici, giornaliste, scrittrici, medici, avvocate. «Ne ho alcune ancora dai tempi del liceo classico a Città di Castello». Sempre dalla parte delle donne, si spese per il referendum sulla fecondazione assistita. Sull’utero in affitto dice: «Perché una sorella non dovrebbe prestarti il suo grembo per renderti felice? E se una sconosciuta si fa pagare, ma nutre di amore il bambino come se fosse suo, dov’è il male?». Alla fine, per lei conta solo una cosa. «L’amore è sempre il filo conduttore. Se sono fatte con amore e per amore, vanno bene tutte le cose».

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