Milano, 5 gennaio 2017 - 21:47

Il prof non vedente: «Insegno
da 25 anni ai ragazzi senza vederli
Eppure con me non si copia»

Antonio Silvagni, 50 anni, insegna latino e letteratura al liceo: «Essere non vedenti è una cosa che può succedere, ma non bisogna arrendersi. Ai ragazzi bisogna chiedere molto, perché sanno dare molto»

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Il primo a chiedergli «ma lei come pensa di fare?» è stato il commissario che lo ha esaminato e promosso dandogli l’abilitazione all’insegnamento. Perché per affrontare tre classi di quindicenni e due di diciottenni e cercare di appassionarli alla letteratura e al latino ci vuole già un certo coraggio e un certo piglio. Figuriamoci se questi ragazzi non li si può guardare negli occhi, li si può riconoscere solo dalla voce e bisogna essere sicuri di averli in pugno, sempre. Antonio Silvagni la domanda del suo esaminatore se l’è fatta molte volte in questi venticinque anni e fin qui ha sempre trovato una soluzione. Era il 1992 quando un glaucoma gli ha portato via la vista. «Ho dovuto farmi una nuova vita. All’inizio mia madre mi registrava tutti i testi sui quali dovevo studiare. Poi mia sorella per caso ha conosciuto all’università il professor Giuliano Artico, non vedente, che stava sviluppando ausili informatici per prendere appunti e memorizzare e anch’io ho scoperto il mondo dell’informatica. Un impiegato della segreteria dell’ Istituto tecnico dove ho insegnato tanti anni, uno con il pallino dell’informatica, mi ha aiutato tantissimo a usare tutti gli strumenti a disposizione. E ora faccio tutto con il computer. Anche i compiti in classe, così li posso correggere da solo, senza aspettare che mia moglie me li legga». Perché il professor Silvagni oltre a diplomare centinaia di ragazzi in questi anni si è sposato e ha due figli adolescenti.

«Chiudi il libro e ricominciamo»

Ora insegna al Liceo scientifico e linguistico di Arzignano, e un gruppo di suoi studenti lo ha candidato al concorso del ministero per scegliere il professore più bravo d’Italia. Per ora è tra i cinquanta finalisti. Ogni mattina arriva in classe con il suo cane guida, un labrador nero che si chiama Luce e che si accuccia sotto la cattedra. Della sua disavventura il professor Silvani non parla con i ragazzi, per pudore e perché «intanto lo sanno tutti». Ha una fama di professore esigente, e lo sa. «I momenti più difficili sono quando ho la percezione che i ragazzi non stiano attenti, allora lì ci vuole un po’ di piglio, diciamo - ride - autoritario. Bisogna rendere chiaro che a scuola si lavora, che il professore sono io e che non sono ammessi scherzi». Ne sanno qualcosa i ragazzi della prima liceo. «Interrogo uno dei più scatenati, viene alla cattedra e io ho l’impressione che stia leggendo dal libro. Percepisco che c’è un po’ di tensione in classe, ma nessuno parla. E’ ovvio. Lo faccio continuare, tutta l’interrogazione senza fare una piega. Ma non si immagina la fatica per mantenere la calma e soffocare la rabbia del momento. Alla fine gli dico senza cambiare espressione: “Adesso chiudi il libro, dammelo e cominciamo l’interrogazione”.» Non ci ha provato nessun’altro.

«Ci sono tanti modi di fare lezione»

Ma essere ammirati non basta ad essere rispettati in classe: «Ai ragazzi bisogna chiedere, se si chiede molto, loro danno molto. Io i risultati li ho: una mia ex allieva che è assistente all’Università in Gran Bretagna mi ha scritto raccontandomi che usa ancora i miei appunti. E queste sono cose che gratificano». Che fanno dimenticare quando la prima volta entri in classe e non puoi firmare il registro, o contare le assenze senza farti aiutare da uno dei tuoi allievi. Quando devi chiedere che ci sia un collega che ti aiuta durante i compiti in classe per controllare che nessuno copi. O quando vorresti scrivere una traduzione alla lavagna ma più di un certo numero di parole non riesci a farle stare come vorresti. «Certo ora con le piattaforme e i computer è tutta un’altra cosa preparare la lezione e anche inventarsi modi “alternativi” che ai ragazzi piacciono di solito molto più delle lezioni frontali». E alla fine si riesce a far amare anche Cicerone ai liceali. Così come succedeva a Carlo Monti, il professore del Dante e del Macchiavelli di Firenze, anche lui non vedente, che ha trascinato generazioni di studenti ad mare la filosofia. Anche lui riconosceva i ragazzi dalla voce a distanza di anni. E anche a lui piacerebbero le parole che Silvagni ha scritto come motivazione della sua vocazione nel formulario per il premio di miglior prof: «Cerco di non essere eccezionale, non vedere cosi come qualsiasi altra disabilità, è una possibilità dell’esistenza». La sua non è una battaglia: «Non sono così aggressivo. Quando ti succede qualcosa che ti cambia la vita, ti devi impegnare a trovare un nuovo equilibrio, non sempre è facile, anzi, ci vuole tempo per adattarsi ma poi si arriva».

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