Milano, 8 gennaio 2017 - 15:56

Etihad, il low cost, Malpensa
Tutti i nodi da sciogliere di Alitalia

Lunedì si apre una settimana decisiva per la compagnia in un clima di sfiducia e tensioni tra gli emiratini e Roma. Gli analisti: Alitalia deve farsi più piccola ed efficiente

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Un clima di sfiducia reciproca. E una gestione di Alitalia diventata — per dirla con un esponente di Etihad — «decisamente più complicata». «Si vive da separati in casa», si sfoga con il Corriere un dirigente che fa da «ponte» tra le due compagnie. Tanto che negli Emirati si sono anche convinti che a passare ai giornali tedeschi la velina avvelenata che dava in uscita James Hogan, ad di Etihad, «sia stato proprio qualcuno dall’Italia. Perché destabilizzare il numero uno di Etihad significa far venire meno il supporto a Cramer Ball», l’ad di Alitalia, lo «straniero» venuto dall’Australia — dopo aver risanato Air Seychelles e Jet Airways — che però non piacerebbe alla componente tricolore della compagnia italiana. Mentre l’azienda perde più di un milione di euro al giorno.

«Serve più continuità»

«Il problema storico di Alitalia era ed è lo stesso: troppa interferenza politica, poca continuità ai vertici», spiega al Corriere John Strickland, esperto del settore e direttore della società JLS Consulting. «La compagnia italiana se vuole riprendersi ha bisogno di un management stabile a cui venga data l’opportunità di prendere le decisioni richieste, anche quelle più difficili». Queste settimane di Alitalia – quelle decisive per l’azienda – si muovono quindi in questo contesto pieno di tensioni. E in un panorama internazionale che registra un rallentamento del settore dell’aviazione.

Le riduzioni

Lo slogan della compagnia è ormai lo stesso: per continuare ad esistere bisogna ridurre i costi e aumentare i ricavi. E allora via con i tagli drastici di personale (almeno 1.600) e di rotte sul corto e sul medio raggio, in netta perdita per la presenza delle low cost. Qualche riduzione anche sul lungo, il segmento più remunerativo, dove in parallelo l’azienda vuole rafforzarsi verso alcune aree. In pochi mesi la società ha quasi del tutto abbandonato l’Europa dell’Est e la Turchia. Dal 1° dicembre non vola più a Istanbul. Dal 1° febbraio saranno chiuse la rotte Fiumicino-Bucarest e la Fiumicino-Valencia. Riduzioni sono confermate per Marsiglia, Mosca, Tel Aviv. Ma anche, sul lungo raggio, per Rio de Janeiro (da 7 a 4 viaggi settimanali dal 29 marzo che diventeranno 3 dal 29 maggio) e Seul (da 4 a 3 collegamenti dal 26 marzo). A proposito di Tel Aviv: a «guadagnarci» è la compagnia israeliana El Al. «Alitalia per noi è una spina nel fianco, ci toglie troppi passeggeri tra lo Stato ebraico e il Nord America», rivela un esponente del vettore mediorientale.

La flotta a terra

Diversi velivoli – dagli Airbus A320 agli Embraer E190 – resteranno a terra. Qualcuno verrà però tenuto nei cieli perché parcheggiarli costa più che farli volare. Allora ecco, per esempio, la rotta Tel Aviv – Atene, senza passare dall’Italia, dal 1° maggio a bordo degli A320. Altri collegamenti, introdotti o potenziati soltanto per la stagione estiva, saranno effettuati grazie anche agli ATR72 di Etihad Regional, la divisione svizzera, oltre ai Saab 2000 già messi a disposizione per i collegamenti nazionali come la Roma-Ancona.

Il lungo raggio

In parallelo l’azienda sostiene da tempo di voler rafforzarsi sull’intercontinentale. Un po’ intende farlo con l’arrivo di nuovi velivoli per il lungo raggio. Un po’ con gli accordi. Intanto il piano di Roma sarebbe quello di non rinnovare la joint venture con Air France-Klm e Delta Air Lines che scade questo mese. «Ad Alitalia non porta alcun beneficio, né da un punto di vista commerciale, né strategico», ragionano in azienda. Addio ai franco-olandesi, insomma. Ma non agli americani: la compagnia italiana vorrebbe rinegoziare i termini con Delta per estendere i suoi collegamenti negli Stati Uniti. San Francisco, per esempio, è da anni una delle città dove Alitalia vorrebbe atterrare. «Però nel Nord Atlantico c’è un eccesso di posti messi a disposizione: per guadagnare bisogna essere efficienti, attenti ai costi di servizio e offrire un prodotto davvero buono», avverte Strickland. Non che altrove la situazione sia più agevole. Prendiamo, per esempio, un volo di andata e ritorno Milano-Bangkok di luglio, una delle rotte più affollate tra l’Italia e l’Asia e a più forte concorrenza. Il più conveniente – consultando i sistemi delle agenzie di viaggio – è quello diretto operato da Thai Airways (411 euro). Seguono, con uno scalo, Emirates (568), Turkish Airlines (590), Austrian Airlines (674), Finnair (694), Swiss (695), Oman Air (700), Qatar Airways (717), Air China (718). Bisogna scorrere un po’ più giù per trovare Alitalia/Etihad con 719 euro.

Il nodo Malpensa

Tra i tanti dossier di Alitalia c’è anche cosa fare dell’aeroporto lombardo di Milano Malpensa. I decolli degli aerei con la livrea tricolore sono ridotti all’osso. Lunedì 9 gennaio, per esempio, si contano soltanto cinque voli operati da Alitalia: tre verso Fiumicino, uno verso New York, uno per Tokyo. Dal 1° febbraio spariranno quelli verso Roma – affossati dal dimezzamento del traffico e dalla presenza dell’Alta Velocità ferroviaria – e nel Varesotto si chiedono se la compagnia non abbia deciso di abbandonare pure il secondo scalo più importante del Paese per concentrarsi di più su Linate, scalo che — potenzialmente — conta su un bacino di passeggeri che è il doppio di quello di Malpensa.

Il progetto low cost

L’altro capitolo è la creazione di una divisione low cost con un modello di business il più simile possibile ai vettori «senza fronzoli» per collegare le città europee. «Nessuno si sogna di fare la guerra a Ryanair sul breve e medio raggio: i loro costi sono semplicemente non sostenibili per noi», affermano dai piani alti di Alitalia. Intanto si dialoga. «Tempo fa abbiamo parlato anche con la Ceo di easyJet», rivelano. Del resto «tutte le compagnie tradizionali si stanno creando la loro low cost – da Lufthansa ad Air France – perché non possiamo farlo anche noi? Bisogna solo capire se ce la creiamo in casa, dove possiamo controllare tutte le fasi e i costi, oppure affidarci a uno esterno». Un accordo con Ryanair, per esempio, «può senz’altro aiutarci. Ma un domani state certi che divorerebbe la nostra fetta di mercato anche sul lungo raggio e questo non possiamo permetterlo». L’analista Strickland non nasconde le sue perplessità. «Ryanair e le altre low cost sono così forti ora che un piano come quello prospettato dalla compagnia italiana porterebbe soltanto ad accumulare perdite».

L’ipotesi Lufthansa

Da settimane girano voci sull’ingresso dei tedeschi di Lufthansa – secondo gruppo in Europa per numero di passeggeri, dopo Ryanair – nell’azionariato di Alitalia. La società tedesca smentisce, Etihad non conferma, Roma sostiene di non saperne nulla. «Mi sembra uno scenario complicato da realizzarsi – ragiona Strickland –: Lufthansa ha già tante sfide davanti così come stanno le cose, non vedo perché debba aggiungerne altre». Nemmeno la fusione Alitalia-Air Berlin sembra convincente. «Se c’è una cosa che l’azienda italiana può e deve fare è farsi più piccola ed efficiente, tagliare i costi – magari seguendo l’esempio di Iag (gruppo di British Airways, Iberia, Vueling e Aer Lingus, ndr) – e selezionare davvero bene le rotte e i mercati da servire».

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