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Berlato re dei cacciatori che punta la doppietta sul Parco Colli euganei

Il consigliere di Fratelli d’Italia ha alle spalle una lunga carriera e adesso guida l’offensiva contro le aree regionali protette

Renzo Mazzaro
3 minuti di lettura
L'assessore regionale Berlato  

VENEZIA. Era finito in Alleanza Nazionale dopo la svolta di Fiuggi nel ‘94, ma si vantava di non avere sudditanza alcuna per i colonnelli veneti di Gianfranco Fini. Lui andava a Roma a trattare direttamente con il capo, forte dei 10 mila cacciatori disposti seguirlo dovunque.

Un po’ meno dei 300 mila bergamaschi pronti a imbracciare il fucile per Bossi, ma sempre un bell’esercito. «Posso cambiare partito quando voglio, mi porterei in dote i loro voti», diceva. Alle elezioni regionali del 2000 fece addirittura la controprova: «Ho chiesto che votassero una donna al posto mio e non era semplice perché il mondo della caccia è maschilista e dovevano fidarsi ciecamente di me. La maggior parte di loro l’ha fatto».

Fu così che Elena Donazzan divenne consigliere regionale con 7 mila preferenze. Poi litigò con il padre putativo e oggi che quest’ultimo è tornato a Palazzo Ferro Fini non si guardano neanche in faccia. Ma questa è un’altra storia. Stiamo al personaggio: Sergio Berlato, vicentino, presidente della commissione agricoltura, l’uomo che sta guidando l’assalto ai confini del parco Colli euganei e in prospettiva agli altri parchi regionali, Lessinia in testa, ma anche Sile e Delta del Po.

Con sgradevoli ripercussioni sulla giunta Zaia, che puntava allo stesso risultato (riordino del settore e contenimento dei selvatici) attraverso un normale confronto legislativo. Con due progetti di legge, il primo ereditato dalla scorsa legislatura, il secondo presentato qualche settimana fa dall’assessore all’agricoltura e alla caccia Giuseppe Pan.

Tutt’altra cosa dell’emendamento di Berlato, inserito nel collegato alla finanziaria, da mettere ai voti su due piedi e succeda quel che succeda. Per il momento succede una rivolta dei sindaci e Luca Zaia non potrà non andare ad un chiarimento con Berlato. Il quale è noto come politico muscolare, anche se il 25 aprile non va a piangere sulla tomba del Duce a Predappio. Portato più a fare che a chiacchierare, intendiamo. Dote senz’altro pregevole, sempre che non trascenda in colpi di mano. Ma la passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie, come cantava De Andrè in una canzone famosa.

Berlato è cacciatore sfegatato, a detta di tutti. Poeta della schioppettata a sentir lui, perché risparmia il beccaccino che va a posarsi davanti alla botte in valle, dopo che l’ha richiamato con lo zufolo costruito con le sue mani. Non commuovetev.. Mentre leggete dove pensate che sia? In giro per le risaie del Polesine a impiombare beccaccini. Si vede che la compagnia di giro che lo invita a caccia in valle gli ha tirato il pacco, questo fine settimana.

In politica Sergio debutta nel 1990, eletto consigliere regionale per la lista Caccia Pesca Ambiente (Cpa). Presidente Franco Cremonese, legge che istituisce il Parco Colli approvata da un anno. Berlato ne ha 31, è il più giovane dell’assemblea. Nella foto ufficiale è l’unico con la bandiera italiana alle spalle. Sembra che stia firmando il patto atlantico. Legislatura ‘95-2000, Berlato torna in Regione come indipendente nella lista di An, sempre come capitano di ventura dei cacciatori vicentini, che hanno fatto proseliti nel resto del Veneto aggredendo le organizzazioni gemelle (Federcaccia, Enalcaccia, Liberacaccia e via sparando). Sergio entra nella giunta Galan come assessore all’agricoltura e manovra sui contributi alle organizzazioni agricole, per mettere a pane e acqua le centrali sindacali (Coldiretti e Cia in testa). È anche la stagione delle quote latte.

Alle elezioni europee del ’99 tenta la scalata per Bruxelles. Viene eletto e l’anno dopo il “posto dei cacciatori” va alla Donazzan. È l’unico dei tre consiglieri regionali eletti nel ’99 in Europa che trova corretto dimettersi da consigliere e rinunciare ad uno stipendio. Gli altri due, Lia Sartori e Paolo Gobbo, non sentono ragioni e incassano per un anno il doppio stipendio. In Europa il nostro si fa tre legislature. Nel frattempo An confluisce nel Popolo della Libertà e lui si ritrova nella compagnia che finirà dentro lo scandalo Mose. Ma ha fiutato l’aria e se ne dissocia pubblicamente con denunce alla magistratura e una spettacolare polemica interna. Gli antagonisti lo accusano di tessere false: sono il gruppo dirigente vicentino di Pierantonio Zanettin, in asse con Galan e la Sartori.

Nell’inverno 2011-12, stagione dei congressi del Pdl, Berlato la spunta sostenuto come sempre dallo zoccolo duro dei cacciatori, portati a votare come truppe cammellate. Dell’inchiesta a suo carico sulle tessere false, trasferita a Roma, nulla si sa. In compenso nel 2014 Berlato non viene ricandidato alle europee, segato da Berlusconi in persona, l’ultima sera utile, per intervento diretto a quanto pare di Giancarlo Galan. Dopo tre legislature a Bruxelles e una a Venezia, poteva essere anche normale tornare a casa. Nossignore, nel 2015 si ripresenta in Regione con Fratelli d’Italia ed è il consigliere più votato del Veneto. Consenso che poteva garantirgli un posto in giunta, pensavano molti. Lui compreso. No, Luca l’ha tenuto lontano. «Meglio così, sono più libero», ci disse lui. «Zaia non sa che posso fargli più male dai banchi del Consiglio». Pare che sia proprio questa la situazione.

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