Milano, 25 dicembre 2016 - 12:25

Le partite decisive
delle banche italiane

Non solo Montepaschi, anche PopVicenza e Veneto Banca, Carige e le quattro “banche ponte” potrebbero chiedere l’aiuto pubblico per uscire dalle secche e avviare il rilancio

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La rete aperta dal governo per il salvataggio del Montepaschi non pone solo rimedio a una situazione di stallo, prefallimentare, che rischiava di far chiudere i battenti alla banca più antica d’Italia, cancellando in un colpo solo miliardi di risparmi di azionist e obbligazionisti del Montepaschi. Il fondo pubblico da 20 miliardi di euro creato su impulso del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per fornire garanzie alle banche sulla liquidità e intervenire con ricapitalizzazioni preventive, dovrebbe aiutare a cambiare la percezione del mercato sul sistema bancario italiano, e quindi quella degli investitori internazionali, nonché rimettere gli istituti, soprattutto quelli più radicati sul territorio, in condizione di garantire il necessario sostegno all’economia reale e a dare un spinta alla crescita.

Gli altri istituti in cerca di capitali

Di banche alle prese con partite difficili non c’è solo Mps, e il fondo da 20 miliardi stanziato dal governo dovrebbe bastare a coprire altre situazioni complesse e da tempo aperte. Martedì 27 dicembre si capirà se il paracadute pubblico è riuscito a rasserenare intanto gli umori della Borsa, che da mesi tiene in altalena le banche più esposte, con repentini rialzi e profonde cadute. Venerdì 23, ultimo giorno di Borsa aperta, Piazza Affari ha chiuso in rialzo grazie proprio ai titoli degli istituti di credito, tutti positivi ad eccezione di Unicredit, che ha appena annunciato un aumento di capitale da 13 miliardi di euro. Il Montepaschi è stata la prima vittima della volatilità a Piazza Affari, che ora dovrebbe fermarsi grazie all’intervento dello Stato. Ma non è solo Siena al centro dell’attenzione. L’anno si chiuderà con le quattro <good bank> (Popolare Etruria, Cassa di Risparmio di Cesena, Cassa di Risparmio di Chieti e Banca Marche) rimaste ancora senza un compratore, Veneto Banca e Popolare Vicentina, ora in mano al Fondo Quaestio, alle prese con una difficilissima transizione che passerà per la fusione tra i due istituti e Carige, da tempo in cerca di una soluzione che ne consenta la messa in sicurezza, gradita alla Banca centrale europea con cui l’istituto di Genova ha condotto un lungo braccio di ferro.

Il nodo Veneto-Vicenza

Partiamo dalla Popolare di Vicenza e de Veneto Banca, finite sotto il cappello del fondo Atlante che ha già impiegato 3,5 miliardi di capitale (su una dotazione complessiva di 4,2 miliardi) per tenerle in piedi, in vista di una fusione di cui si parla da diversi anni ma che i vecchi vertici ritenevano non necessaria, salvo poi scoprire che, una volta riclassificati i bilanci, nessuna delle due era in grado di stare sulle proprie gambe. E non lo sono ancora, al punto che poco prima di Natale la Bce ha chiesto a Quaestio, a cui fa capo il Fondo Atlante, di fornire subito liquidità aggiuntiva staccando un assegno da 687 milioni per Veneto e 310 per la Vicentina in conto futuro aumento di capitale. I requisiti patrimoniali dei due istituti potrebbero infatti non essere rispettati a causa delle attese svalutazioni inserite nel bilancio 2016 e con la vendita degli Npl. Alla guida delle due banche è arrivato Fabrizio Viola, il banchiere che ha cercato di tenere in piedi il Montepaschi fino all’arrivo di Marco Morelli. Tra gennaio e febbraio dovrebbe essere definita la fusione tra Veneto e Vicenza, punto di partenza per il rilancio dei due istituti veneti che avranno anche bisogno di un rafforzamento patrimoniale. E vista la residua potenza di fuco di Atlante, il fondo pubblico da 20 miliardi potrebbe tornare molto utile.

Il piano di Carige

Non se ne parla molto ma anche Carige si prepara ad affrontare nel 2017 una partita decisiva per il proprio futuro. L’istituto genovese, di cui la famiglia Malacalza e la prima azionista con il 17,6%, con Montepaschi, Veneto e Vicenza è l’altra banca italiana ad aver un ammontare di crediti deteriorati decisamente sopra il livello di rischio: il rapporto tra crediti deteriorati lordi e crediti totali è circa il 27% (19% netto). Da tempo l’istituto ha avviato un confronto con la Bce, rivelatosi tutt’altro che semplice, riuscendo a ottenere due importanti “concessioni”: un mese in più per la preparazione del nuovo piano industriale e la possibilità di procedere con coperture differenziate a seconda dei crediti in sofferenza. Alla viglia della pausa natalizia, il 22 dicembre, Carige ha riunito il consiglio per far il punto sul nuovo piano che dovrebbe vedere la luce a febbraio dell’anno prossimo. In cui potrebbe esserci già la discesa degli Npl con la cessione del primo miliardo di sofferenze. Un ulteriore passo in avanti sulla strada del risanamento e, in prospettiva, della ripresa.

La stretta di Nicastro sulle ”banche ponte”

Popolare Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti e Banca Marche, le quattro banche messe in risoluzione con le nuove regole del bail-in e affidate a Roberto Nicastro, potrebbero essere vicine alla svolta. Almeno tre di esse, ovvero Marche, Etruria e CariChieti. Il negoziato con Ubi dovrebbe sfociare entro i primi giorni del 2017, se non addirittura entro la fine di quest’anno, nella firma del preliminare di vendita. Il rischio maggiore qui non è tanto il livello di patrimonializzazione degli istituti quanto gli esuberi di personale. La scure si potrebbe abbattere intanto su CariFerrara, nel mirino di Bper ma non ancora sulla via della cessione, per cui sarebbero stati chiesti 400 esuberi su poco meno di 850 dipendenti.

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