Milano, 27 dicembre 2016 - 23:17

Tagli ai crediti dubbi e nuovo piano
Le vere cifre dell’aumento per Mps

Le incertezze del Tesoro sulla «soluzione privata» per ricapitalizzare Mps. Il giallo degli investitori internazionali assenti dall’operazione di aumento di capitale e il pressing dell’Europa sul ruolo della Consob

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Che sia intenzione, errore od obbligo di legge, sembra tutto così in linea con la storia disseminata di equivoci fra Siena, Roma e Francoforte. Un comunicato di Monte dei Paschi dopo le 21 del giorno di Santo Stefano è stato letto da tutti nel solo modo possibile in base al testo: ora che è caduta la soluzione di mercato per l’istituto, la

Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni e, a destra, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan (Ansa)
Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni e, a destra, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan (Ansa)

Banca centrale europea chiede a Mps ancora più capitale. Non bastano più cinque miliardi di euro per coprire il fabbisogno di patrimonio, ne servono 8,8. Lo Stato, a giudicare da quanto afferma Mps nella sua nota, dovrà spendere più del previsto per tenere in vita la banca più fragile d’Europa.

Venerdì scorso in serata, dopo mesi di preparazione di una «ricapitalizzazione precauzionale» pubblica, nessuno ai vertici del Tesoro se l’aspettava. Quando il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha riunito un gruppo di amici per un saluto prima di Natale, sembrava convinto che l’aumento necessario sarebbe stato di cinque miliardi. Ma forse perché è stata la stessa Mps a incaricarsi di agire da

Marco Morelli, amministratore delegato di Mps (Imagoeconomica)
Marco Morelli, amministratore delegato di Mps (Imagoeconomica)

portavoce di fatto della Bce — mentre quest’ultima taceva — nel comunicato dell’altra sera mancava un dettaglio essenziale: gli 8,8 miliardi non sono una richiesta ultimativa. Sono una stima del fabbisogno di capitale emerso dai test dei regolatori nell’ipotesi di una grave recessione, un esercizio previsto dalla legge in questo tipo di intervento pubblico. Quegli 8,8 miliardi rappresentano magari la soglia massima del capitale necessario se mancasse qualunque piano credibile del Tesoro per Monte dei Paschi. Solo ieri sono arrivate indicazioni in questo senso, ancora informali, da Francoforte. In questo momento infatti un piano non c’è, dopo la caduta dell’unico fin qui disponibile: l’aumento di mercato con la cessione di prestiti in default per quasi 28 miliardi.

Il piano del Tesoro

Il governo può dunque ancora sperare di strappare dalla Bce l’assenso a una ricapitalizzazione attorno ai cinque miliardi, o non molto sopra. La condizione, si spiega da Francoforte, è che sia convincente il progetto per la banca e soprattutto per la separazione dei suoi crediti in default. Questi ultimi infatti erodono patrimonio e richiedono dunque di accantonare sempre maggiori riserve, se non vengono amputati subito dal corpo dell’azienda. A giudicare dai trascorsi recenti, non sarà semplice per il Tesoro convincere la Bce. Una dimostrazione è arrivata

Danièle Nouy, presidente della Vigilanza Unica della Bce (Afp)
Danièle Nouy, presidente della Vigilanza Unica della Bce (Afp)

giovedì 8 dicembre scorso. Pochi giorni prima il “No” aveva trionfato nel referendum, il premier Matteo Renzi stava per lasciare Palazzo Chigi, e da Francoforte è arrivata a Siena una richiesta: fateci vedere cosa avete in mano. La Bce aveva bisogno di saperlo per una decisione vitale. Con l’assenso del rappresentante del Tesoro Antonino Turicchi, primo azionista al 4%, il giorno prima il consiglio d’amministrazione di MPS aveva infatti deciso di chiedere alla vigilanza europea un rinvio dal 31 dicembre al 20 gennaio del termine ultimo per rafforzare la banca. Era la scadenza oltre la quale, senza soluzioni, l’istituto poteva scivolare in una procedura di fallimento. Si sarebbe saputo solo dopo — ma tutti i protagonisti sapevano già allora — che proprio nei giorni la banca di Siena stava perdendo depositi a bocca di barile. Due miliardi la settimana. I suoi livelli di liquidità («liquidity coverage ratio», il rapporto fra attivi trasformabili subito in cassa e il saldo fra deflussi e afflussi di denaro in un mese di stress) stavano scendendo sotto i minimi regolamentari. La banca stava rischiando.

Il tentativo di proroga

Marco Morelli, l’amministratore delegato, pensava ne valesse la pena. Era giusto dare tempo a un aumento sul mercato, si spiegava, data la «disponibilità» di alcuni nomi celebri: il fondo di George Soros e il fondo sovrano del Qatar. Persino Turicchi, dirigente generale del Tesoro, aveva votato per chiedere quel rinvio alla Bce e concedere alla soluzione di mercato un’altra chance. Anche per questo, prima di decidere sul rinvio, la Bce voleva vedere le manifestazioni d’interesse dei grandi investitori.

Da Siena non è arrivato quasi nulla, secondo due persone che hanno seguito la vicenda. Non una parola da Soros, il cui interesse sembra non esserci mai stato. Un operatore conferma che all’anziano finanziere era stato proposto in ottobre di valutare l’offerta Mps e lui l’aveva girata alla sua squadra per un esame. Alla fine, il fondo Soros aveva deciso che la proposta non era valida e già nella prima metà di novembre lo aveva comunicato alle banche globali che gestivano l’operazione di Siena.

Quanto al Qatar, spiega una persona vicina alla vicenda, il documento arrivato in Bce era così pieno di distinguo e scappatoie da risultare «shallow»: superficiale. Francoforte, preoccupata per l’emorragia di depositi, nega il rinvio. Restano però da capire alcuni aspetti, perché quel tentativo ha fatto slittare di giorni preziosi il piano dell’intervento pubblico mentre la banca si dissanguava sempre di più. Già il 5 dicembre l’allora premier Renzi aveva infatti dato il via libera al salvataggio di Stato e il Tesoro aveva iniziato a lavorarci; che Turicchi proprio in quei giorni abbia votato in senso opposto in consiglio di Mps solleva interrogativi sul coordinamento che Vincenzo La Via, il direttore generale, assicura al Tesoro in questa fase delicatissima. Né è chiaro perché Morelli — il cui compenso concordato in settembre di 1,4 milioni superava nella parte fissa quello del suo omologo della prima banca d’Europa, Bnp Paribas — abbia cercato di prendere tempo senza avere niente in mano. Ora che il suo azionista di controllo diventerà lo Stato, potrà forse spiegare le fughe di notizie su quei grandi protagonisti dei mercati globali: i loro nomi rischiavano di attrarre tanti piccoli risparmiatori italiani in un’offerta che intanto centinaia di professionisti del settore avevano già respinto.

Il ruolo della Consob

Certo il Tesoro non era pronto. Cinque mesi dopo il primo momento in cui era emersa l’ipotesi di una «ricapitalizzazione precauzionale» pubblica, quel «piano B» era ancora solo abbozzato. Le vicende delle ultime ore rivelano che i contatti del governo con la Bce sono stati insufficienti. Anche la trattativa con la Commissione Ue per tutelare le 40 mila famiglie detentrici delle obbligazioni più esposte, in caso di aiuto di Stato, era ancora da definire. Al punto che alla fine non ha attratto molta attenzione una delle condizioni indicate da Bruxelles per il suo via libera: «Le autorità devono agire concretamente per affrontare alla radice le cause della vendita abusiva (dei bond alle famiglie, ndr)».

Molti titoli delle ultime due emissioni a rischio, due «Lower Tier 2» in scadenza 2020, sono stati venduti agli sportelli di banca mentre a guidare la Consob era già l’attuale presidente Giuseppe Vegas. Anche Bruxelles vuole capire che cosa non ha funzionato nella tutela del risparmio.

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