Milano, 29 dicembre 2016 - 22:09

Mattarella e il Paese «sfibrato»
Il richiamo ai doveri dei politici

Il presidente della Repubblica nel suo secondo discorso di fine anno porrà l’accento sulle emergenze occupazione e corruzione

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Un Paese schiacciato tra uno scontro politico permanente e una questione morale che riaffiora a intermittenze sempre più ravvicinate. E una comunità nazionale impaurita da una crisi a più facce ed esausta per i prezzi che le tocca pagare. Si ispirerà a questo incrocio di «dati di fatto» il presidente della Repubblica, nel proprio messaggio di fine anno.

La fragilità dell’Italia

Un discorso che metterà al centro la fragilità di un’Italia con un tessuto connettivo ormai «sfibrato e diviso»: diagnosi sconsolante per uno come lui, assertore dell’idea di Stato-comunità in cui tutto si tiene e compensa. E in cui, invece, secondo il suo ammonimento di pochi giorni fa davanti alle alte cariche dello Stato, si diffondono purtroppo «sentimenti d’inimicizia e addirittura di odio verso tutti e verso ciascuno». Certo: per fortuna la nostra resta ancora una società con un grande spirito solidale e Sergio Mattarella lo ha verificato di persona in tante tragedie recenti, come con l’ultimo terremoto che ha provocato lutti e distruzioni tra Lazio, Marche e Umbria. Ma nell’affanno generale, è chiaro che quella spontanea virtù civica — alla quale renderà comunque omaggio — non può bastare. Così, considerando le ultime derive della vita pubblica e le sfide che abbiamo di fronte, ciò che gli preme è un’urgente ricostruzione di quello che definisce sempre «il senso del nostro vivere insieme». E per farlo intende usare il linguaggio della verità, nella diretta tv di domani sera. Parlando a modo suo, con la pacatezza antiemotiva e antiretorica che la gente ha già imparato a conoscere. Superando comunque il tabù istituzionale per cui nei messaggi di Capodanno si dovrebbe cancellare tutto ciò che può suonare ansiogeno.

La classe politica

Una scelta che lo porterà ad affrontare i problemi partendo dalle responsabilità e dai «doveri» della classe politica. Per inciso: un richiamo, questo, che rimanda a Norberto Bobbio, il quale, dopo aver scritto un saggio su «L’età dei diritti», avrebbe non a caso voluto comporre un seguito sull’«Età dei doveri» (progetto ripreso in seguito dal politologo Maurizio Viroli). I doveri e le responsabilità della politica, dunque, su quei fronti che stanno facendo deragliare in «delusioni» le «speranze» e le «attese» degli italiani. In primo luogo la lotta alla corruzione, divenuta missione centrale del settennato di Mattarella in quanto tema ancora centrale nelle cronache anche politiche del Paese. E poi un forte impegno contro la disoccupazione, specialmente quella giovanile, che oggi conosce una dolorosa ricaduta sociale nelle nuove migrazioni di nostri ragazzi all’estero.

L’anti terrorismo e i risparmiatori

Ancora: chiederà uno slancio particolare nel dossier congiunto sicurezza-terrorismo, emergenza riacutizzata pure da noi dopo lo choc prodotto dalla scoperta che l’attentatore di Berlino voleva rifugiarsi in Lombardia. Infine, un riferimento alla necessità di tutelare i tanti risparmiatori travolti dai collassi bancari degli ultimi anni. E, naturalmente, qualche cenno al risultato referendario del quale ha fornito lui stesso una sorta di «cronaca costituzionale» un decina di giorni fa, spiegando com’è maturata la staffetta tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi. Ecco le tracce principali su cui lavora il capo dello Stato. Sarà un messaggio non formale e breve, diffuso da una location ancora non decisa, forse un angolo del suo appartamento. Una ventina di minuti per rivolgere ai cittadini qualcosa più che auguri d’impronta ottimista, come avveniva un tempo. Proprio per questo non si esclude qualche sorpresa dell’ultimo minuto. Per fare un esempio, l’anno scorso dedicò un passaggio bruciante al tema (inedito in questo genere di discorsi) dell’evasione fiscale. A dargli lo spunto, un dossier recapitatogli pochi giorni prima, che quantificava in 122 miliardi di euro l’anno la perdita di risorse che l’infedeltà tributaria procura allo Stato. Una cifra da denunciare, perché era convertibile in 7,5 punti di Pil, cioè in 300 mila posti di lavoro mancati.

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