Dal 1986 Mauro Marcheselli è stato uno dei collaboratori più preziosi di Sergio Bonelli prima e di Decio Canzio poi, divenendo con la loro scomparsa, la figura di riferimento assoluta in via Buonarroti 38; un ruolo che ha interpretato sempre con la modestia e la signorilità che lo contraddistinguono. Per la casa editrice milanese ha svolto diverse e importanti mansioni: per anni è stato il curatore di Dylan Dog, firmando alcuni soggetti indimenticabili sceneggiati da Tiziano Sclavi, come Il lungo addio (Dylan Dog 74 del novembre 1992) disegnato da Carlo Ambrosini e Johnny Freak (Dylan Dog 81 del giugno 1993) illustrato da Andrea Venturi. Potevamo forse festeggiare i 30 anni dell’Old Boy senza di lui?

Godetevi la schiettezza e la simpatia di un monumento del nostro fumetto. Buona lettura!

 

Benvenuto su BadComics.it, Mauro. È un piacere e un onore averti con noi. Prima di parlare di Dylan Dog, ci potresti raccontare il motivo che ti ha spinto ad “appendere i fumetti al chiodo” (come hai detto tu in una passata occasione) così prematuramente, a giudizio di tutti? Ricopri ancora un qualche ruolo in Bonelli?

Mauro MarcheselliCominciamo bene. [sorride] La domanda alla quale mi è più difficile rispondere. È stata una decisione sofferta. Molto sofferta. Tipo lasciare una persona di cui sei ancora molto innamorato. Puoi fare il lavoro più bello del mondo, come nel mio caso, ma prima o poi arriva il momento (di solito con l’avvicinarsi di un nuovo, ennesimo compleanno) in cui la voglia di cambiare completamente la tua vita, prima che sia troppo tardi, diventa più forte di qualsiasi altra motivazione.

In Bonelli hanno fatto di tutto (e di più) per trattenermi, ma le mie convinzioni erano troppo radicate perché potessero farmi cambiare idea. In Casa editrice stavo bene e il lavoro riempiva la maggior parte della mia vita. E non mi è mai pesato. Ormai era come essere in famiglia. Una bella famiglia. Però con la scomparsa di Sergio Bonelli qualcosa si è incrinato. Lui ha lasciato un vuoto immenso, che è stato impossibile colmare. Tutti noi, Davide Bonelli in primis, siamo stati bravi nel mandare avanti la Casa editrice senza grossi scossoni, ma mi sono reso conto che in mancanza di Sergio con il passare del tempo stavano venendomi a mancare stimoli e motivazioni.

A me non piace comandare (chi ha detto che “comandare è meglio che fottere” è un coglione), non ci sono tagliato, ma se sei il direttore devi farlo. In questi ultimi anni mi sono sempre sentito in colpa verso Sergio per tutti i piccoli tradimenti alla sua filosofia aziendale che, a differenza di me, molti autori evidentemente non condividevano e che non sono riuscito a evitare che fossero perpetrati. Non sono il tipo che impone la sua volontà. Sergio lo era, io no. Questione di carattere. Quando ho capito che la situazione era irreversibile e non ero sicuro che la ragione fosse dalla mia parte mi è sembrato il momento giusto per “appendere i fumetti al chiodo”.

Sapevo di lasciare l’azienda in buone mani. Masiero, tra l’altro, è molto più bravo di me anche come intrattenitore sul palcoscenico. [sorride] E sono convinto che con l’arrivo di Simone Airoldi al fianco di Davide, il futuro della Bonelli, anche in prospettiva dei nuovi obiettivi commerciali, è messo in cassaforte. A un anno di distanza dal mio pensionamento sono convinto di aver fatto la scelta giusta. Leggo molto e ho adottato un cane (concordo con Lucy Van Pelt, che in una famosa striscia dei Peanuts afferma che la “Felicità è un cucciolo caldo”).

Attualmente mantengo buonissimi rapporti amicali con la redazione (ogni tanto passo in via Buonarroti a trovarli, sono il mio equivalente dei lavori nei cantieri per gli altri pensionati) e spesso mi sento telefonicamente con molti autori e collaboratori esterni.

Andiamo al sodo e cominciamo da dove tutto ebbe inizio: come sei stato coinvolto nel progetto Dylan Dog?

Ho conosciuto Sclavi quando ancora stava lavorando al progetto Dylan Dog e mi aveva chiesto di segnalargli dei disegnatori adatti per la serie. Ricordo che gli portai un dossier con materiale di Freghieri, Piccatto, Caramuta, Casertano e qualche altro disegnatore che ora non ricordo più… Credo anche di essere stato il primo a scrivere, per Fumo di China, un articolo su Dylan Dog. Due mesi dopo l’uscita in edicola del numero d’esordio fui assunto in Bonelli (allora Cepim/Daim Press/Altamira) e da allora in poi io e Dylan abbiamo convissuto.

Nel 1986 esce L’alba dei morti viventi: cosa cambia per sempre nel panorama del fumetto italiano?

Nonostante le edicole fossero piene di albi e riviste, anche di buonissima qualità, la fine degli anni 80 era un periodo di stanca, per il fumetto. Si sentiva però che qualcosa era nell’aria. Passò una cometa. E arrivò Lui. Il personaggio giusto al momento giusto. Dylan Dog raccolse grandi consensi di critica e di pubblico e convogliò interesse e visibilità verso un mondo che faceva numeri impressionanti ma di cui i media sembravano non accorgersi. Oggi la situazione è migliorata ma si potrebbe, e si dovrebbe, fare di più…

Tre aggettivi per definire Dylan Dog?

Romantico, fragile, buono.

Hai firmato il soggetto di storie seminali di Dylan Dog: cosa ricordi di quelle esperienze e del connubio professionale con Tiziano Sclavi?

il-lungo-addioPrima di Dylan Dog avevo collaborato a Pilot, la rivista di fumetti d’autore di cui Tiziano era direttore. Inventavo battute e scrivevo brevi storie (due o tre, qualche anno dopo, Sclavi le ha sceneggiate e sono state inserite in Totentanz, sul primo “Dylandogone“). Così, in un momento in cui era in difficoltà con i soggetti di Dylan, mi chiese se per caso non avessi voglia di provare a scriverne uno. Gli portai Il lungo addio.

Ho ancora l’originale con sopra scritto da Tiziano a matita: “Bellissimo” (una storia che quando Decio Canzio la lesse sentenziò: “Questa affosserà la serie”). [sorride]

Così ne scrissi altri. Se ben ricordo me ne bocciò pochi. Qualcuno dovetti rivederlo, perché secondo lui non c’era abbastanza polpa per 94 pagine… Una volta me ne chiese uno per una storia breve, e lo voleva per il giorno dopo. Non so come ci riuscii, ma mi venne un flash durante la notte e il giorno dopo gli portai il soggetto di Serial killer, che credo sia uno dei miei migliori. Ho addirittura anticipato Dexter.

In seguito sei diventato il curatore del personaggio fino al 2009. Quali sono le qualità che un artista, o uno sceneggiatore, deve possedere per lavorare sull’Indagatore dell’Incubo? 

La prima cosa è senz’altro la qualità della scrittura e saper scrivere in italiano corretto. Può sembrare strano ma molti pretendenti autori portavano testi sgrammaticati o senza la corretta punteggiatura. L’ho sempre ritenuta una mancanza di rispetto per il mio lavoro e naturalmente sono stati bocciati senza appello. Poi bisogna saper essere originali senza per questo snaturare o stravolgere il personaggio e il suo mondo. Quindi è necessario conoscere bene la serie e tutte le sue caratteristiche. Un pizzico di umiltà e di voglia di imparare, poi, non guastano mai.

Quale storia, tra tutte quelle di Dylan Dog, ricordi in modo speciale e perché?

Memorie dall’invisibile. Il “testo sacro”. La sceneggiatura perfetta. Quella che quando dovevo spiegare a qualche aspirante autore come si sceneggia fotocopiavo e gli spedivo. Era una cattiveria, me ne rendo conto. Era come confrontarsi con La Divina Commedia.

Hai un aneddoto divertente, legato a Dylan Dog che riguarda magari Sergio e Tiziano, da condividere con noi?

Tiziano e Sergio erano legati da un rapporto di grandissima amicizia e affetto, ma Dylan Dog lo ha messo duramente alla prova. Sergio con il sempre più crescente successo dell’Indagatore dell’Incubo era terrorizzato dall’idea che qualche ragazzino sgozzasse la maestra e si scoprisse che leggeva Dylan Dog. E lo viveva male. Tiziano aveva accettato di alleggerire i toni e ridurre le scene splatter, ma Bonelli ogni mese abbassava l’asticella… Così sono volati gli stracci e per un certo periodo non si sono parlati. O meglio si parlavano solo tramite me. Ero tra l’incudine e il martello. Sergio mi chiedeva di cambiare alcune cose e Tiziano me lo proibiva, visto che lui era il direttore responsabile. E io dovevo mediare. Evitando di schierarmi da una parte o dall’altra. Sono stati tempi durissimi, ve lo assicuro.

Come giudichi il rilancio del personaggio e della testata, guidata ora da Roberto Recchioni?

Roberto ha fatto e continua a fare un grande lavoro. La sua è una missione impossibile. Nessuno, a mia memoria, è mai riuscito a recuperare i lettori persi (io, per esempio, che sono considerato uno che ha fatto abbastanza bene, ho preso in mano la serie nel 1993 che vendeva 530.000 copie e l’ho lasciata alla fine del 2009, quando ne vendeva molte meno di 200.000), infatti a Robbè è stato chiesto soltanto di cercare di rallentare l’erosione di lettori, obiettivo che è riuscito a raggiungere.

L’unica cosa che mi spiace è che il gravoso lavoro da curatore (e altri impegni) non gli abbia consentito di scrivere lui stesso molte più storie di Dylan. Ritengo Roberto uno dei migliori sceneggiatori in circolazione. Sulle sue doti di disegnatore ho invece più di qualche dubbio… [ride] Comunque l’altro giorno era qui a casa mia, in provincia di Milano, e gli ho fatto mangiare il panettone…

La Bonelli sta compiendo in questi ultimi anni uno sforzo enorme di ringiovanimento ed espansione: come sta il fumetto italiano oggi, a tuo parere?

È vivo. Ed è già qualcosa. Il problema irrisolvibile sono le nuove generazioni che non si riesce a portare in edicola. Diciamo la verità: il fumetto, al giorno d’oggi, ha poca forza d’attrazione. La superiorità attuale degli altri prodotti di intrattenimento è schiacciante. È una lotta impari. Archi e frecce contro cannoni. Ma i progetti futuri messi in cantiere in Bonelli sono molto interessanti e sono fiducioso.

Sclavi è tornato a scrivere, vedremo mai anche te tornare al lavoro su un soggetto inedito, magari proprio per Tiziano?

Mai dire mai. Ma direi mai.

Dylan Dog compie 30 anni, qual è l’augurio più sincero che vorresti fargli personalmente?

Tiziano dice che se lui è il papà di Dylan, io ne sono la mamma. Quindi vorrei che mettesse la testa a posto, si sposasse con una brava ragazza e mi regalasse tanti bei nipotini. Per i prossimi trent’anni. [ride]

 

SPECIALE 30 ANNI DI DYLAN DOG: