Intervista Orfani

Il colore del Male!

Dopo le parole di Nicola Mari, abbiamo chiesto alla colorista delle copertine di Orfani: Juric di portarci dietro le quinte della lavorazione delle immagini che presentano gli albi della serie. Ecco cosa ci ha raccontato Barbara Ciardo.

12/10/2016

Dal 15 ottobre, arriva in edicola il primo dei tre capitoli di Orfani: Juric, una nuova stagione incentrata sulla figura della spietata dottoressa/poi presidente del mondo creato da Roberto Recchioni e Emiliano Mammucari. Il racconto – scritto da Paola Barbato e visualizzato da Roberto De Angelis, con i colori di Andres Mossa, con un prologo e un epilogo della coppia Recchioni/Andrea Accardi – è presentato dalle copertine di Nicola Mari, colorate da Barbara Ciardo. Un nome, quello della Ciardo, che suonerà familiare agli appassionati di fumetto, soprattutto di quello proveniente dall’estero. A partire dalla metà degli anni 2000, Barbara ha colorato le tavole di tanti comics americani, lavorando sulle tavole dei personaggi di Case editrici quali Marvel e DC, ma anche di alcune pubblicazioni per il mercato d’Oltralpe. Ecco cosa ci ha raccontato del suo lavoro e della collaborazione che ha portato alla colorazione delle copertine di Orfani: Juric.

► Raccontaci come è nata la tua passione per il colore e come hai fatto a trasformarla in una professione: qual è il tuo percorso artistico?

Il tratto di Nicola, grafico ed elegante, necessita una colorazione non invasiva, fatta di poche tinte e pennellate leggere che esaltino senza coprire il suo lavoro di chiaroscuro.

Sono tra quegli artisti che hanno ascoltato la loro passione piuttosto tardi o quantomeno che hanno creduto di poterne fare una professione in un lungo arco di tempo. Come molti, da piccolissima amavo trascorrere ore disegnando, leggendo fumetti e guardando film e serie d’animazione; ma solo più avanti negli anni, dopo un lungo periodo di totale distacco dalle attività artistiche, ho scelto di dare una chance alla mia vecchia passione e iscrivermi a una scuola di fumetto. Da quel momento, ho capito che stava iniziando un percorso che mi avrebbe richiesto un eterno approccio da autodidatta in cui la scuola poteva fornirmi, nella fase iniziale, stimoli, confronto con i professionisti e l’opportunità di conoscere persone con i miei stessi interessi. Da queste conoscenze è nata presto la possibilità di realizzare alcune autoproduzioni, che mi hanno dato modo di testarmi su scadenze e continuità stilistica, fornendomi materiale per un primo portfolio da mostrare alle Case editrici italiane e straniere con cui avrei collaborato professionalmente negli anni a seguire. Da allora, ogni progetto in cui sono stata coinvolta fino a oggi è stata una nuova sfida e il modo più diretto ed efficace per imparare e migliorare, non solo come artista.

► Quali sono i tuoi strumenti e qual è il tuo metodo di lavoro?

Generalmente dipingo in digitale con Photoshop, integrando talvolta con texture realizzate ad acrilico o acquerello e poi “scannerizzate”. Sto sperimentando anche l’uso di altri programmi, ma per ora resto ancora fedele a questi strumenti.
Lavoro partendo da un livello di base con colori piatti (flats) creato per poter selezionare singolarmente le aree da dipingere; questi colori costituiranno anche i toni medi dell’immagine. Procedo poi aggiungendo livelli separati di luci, ombre, texture ed effetti. Alla fine unisco tutti i livelli dell’illustrazione o della tavola, dipingo gli ultimi dettagli e se necessario faccio una “color correction”, ovvero aggiusto i valori cromatici di tutta l’immagine nel suo complesso.
Faccio inoltre largo uso di “reference” per la scelta delle palette colore, attingendo da fotografia, cinema, animazione e pittura, oltre che ovviamente ispirandomi ai tanti fumettisti e illustratori che mi piacciono. Ultimamente ho realizzato la colorazione di un’altra serie di copertine in cui ho provato a reinterpretare palette e tecniche pittoriche di alcuni grandi artisti del passato, riportandole sui disegni di due bravissimi fumettisti italiani; mi ha fatto bene cambiare un po’ il metodo di lavoro e sentirmi libera di sperimentare, cosa che conto di fare ancora in futuro.

► Lavorando per il mercato estero, sulle chine di artisti dal tratto molto diverso tra di loro, immagino avrai dovuto spesso adattare il tuo stile: nel caso delle copertine di Orfani: Juric e dello stile di Nicola Mari, come hai lavorato? Che approccio al colore hai scelto?

La sfida che mi ha posto questa collaborazione è stata quella di pensare una soluzione “a togliere”, cercando la massima sintesi possibile. Il tratto di Nicola, grafico ed elegante, necessita una colorazione non invasiva, fatta di poche tinte e pennellate leggere che esaltino senza coprire il suo lavoro di chiaroscuro. Questo processo, come si vede guardando le prime prove e poi il definitivo (potete osservare tutti i passaggi nella nostra gallery in apertura, N.d.R.), è stata la parte più impegnativa; infatti, la primissima bozza in particolare, mostra una colorazione molto ricca, troppo pesante per questo tipo di segno e solo dopo numerose sottrazioni sono riuscita a mantenere l’essenziale e a ottenere un risultato d’impatto, soddisfacente per tutti.


La prima delle numerose prove effettuate da Barbara Ciardo per la colorazione della cover di Orfani: Juric
(Cliccate sull'immagine per visualizare l'illustrazione intera)

► Quali sono le principali differenze d’approccio nel colorare una tavola rispetto a una singola illustrazione?

Un’illustrazione per una copertina deve avere alcune caratteristiche specifiche, ovvero essere d’impatto, attirare lo sguardo, risultare immediatamente leggibile e raccontare tutta la storia in un unico momento; una tavola di un fumetto, invece, dovrebbe essere pensata relativamente alla sequenza a cui appartiene e riproporre una palette in continuità e coerenza con lo storytelling nel suo totale. La leggibilità resta una priorità anche in questo caso, ma se parliamo di una tavola di passaggio che magari precede o segue un momento fondamentale della storia, è preferibile che abbia un impatto cromatico misurato, così da far risaltare maggiormente il climax della sequenza.
Per quanto mi riguarda, le copertine, essendo immagini “autonome”, mi danno la possibilità di sperimentare stili diversi volta per volta, portandomi quindi a trovare nuove soluzioni, dalla sintesi all’iperdettaglio, se serve. Quando approccio un volume a fumetti, invece, so che dovrò utilizzare un determinato stile su un buon numero di tavole in un tempo limitato e quindi mi troverò necessariamente a semplificare, sacrificando qualcosa di ciò che farei se avessi più tempo a disposizione. A meno di non avere scadenze molto comode, come fortunatamente in qualche occasione mi è capitato.

► Sia Nicola che Emiliano Mammucari (che ci ha raccontato di averti a lungo inseguita, sperando di farti lavorare per le copertine di Orfani) sono due noti perfezionisti: come è stato lavorare con loro? Quanto ti hanno fatto dannare?

Il confronto è stato intenso e necessario, specialmente sulla prima copertina che praticamente abbiamo utilizzato come test per trovare il giusto stile e per incontrarci artisticamente in un punto che fosse efficace per il progetto. Nonostante entrambi avessero un’idea piuttosto precisa sul risultato da ottenere, mi è stata data grande libertà e in particolare modo sulla seconda e la terza copertina, dove le scelte stilistiche erano già assodate.
Mi sono divertita e ho avuto modo di lavorare con questi autori che apprezzo moltissimo; un po’ di fatica iniziale per raggiungere l’obiettivo cercato è un costo veramente piccolo.

► Dal punto di vista del colore, hai cercato di creare un percorso, di copertina in copertina, o ti sei adattata al soggetto dell’illustrazione?

Per ogni copertina ho ricevuto del materiale relativo alla storia e delle indicazioni di massima, ma in generale ho potuto interpretare liberamente a partire dalla situazione che mi ha suggerito il lavoro di Nicola.
Di solito l’ambiente e la sua illuminazione, quando presenti nel disegno/inchiostrazione, mi suggeriscono l’atmosfera generale da dare alla tavola; le cose cambiano quando gli elementi compositivi del disegno danno degli indizi ma non descrivono completamente dove agiscono i personaggi. Nella prima copertina, infatti, dove lo sfondo era solo suggerito, piuttosto che aggiungere informazioni con la pittura, abbiamo optato per la semplicità e per poche tinte che avessero impatto grafico immediato e che lasciassero ai personaggi tutta l’ attenzione; mentre sulle altre due copertine gli elementi dello sfondo più presenti e descrittivi mi hanno portato in maniera piuttosto naturale a scegliere le tinte più adatte a completare il racconto già espresso dal disegno. Il discorso avrà ovviamente più senso quando si potranno vedere tutte e tre le copertine insieme.

A cura di Luca Del Savio


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