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Mondi POPVideogiochiGAME hang OVER #1: Load, Return.

GAME hang OVER #1: Load, Return.

Ciao, sono Paolo, gioco ai videogames. È capitato che mi è stato quasi chiesto di tenere una rubrichina qui e infatti sono molto contento e sto sudando tutto il mouse. Vi prego, se avete voglia, di aprire i link schiacciandoci sopra, siamo su internet apposta.

Come avrete già notato, voi attentissimi, il tono è questo qui: normale, ché se si parla di videogiochi seriamente si rischia di mettersi le unghie negli occhi (a vicenda), come col calcio, la musica e tutte le altre cose serie.

Ecco, io infatti mi occupo di altre cose serie, ma mentre non le faccio (spessissimo), mi piace giocare ai videogiochi. Sono pure mezzo scarso (avete visto che cose incredibili fanno quei tipi lì su YouTube, no? Ecco, io non le faccio) ma il punto non è mica quello. Il punto è che mi piacciono moltissimo, mi piace perdermi a guardare tutto, a vedere bene tutti i particolari, come sono fatti, le loro storie, il design degli oggetti, dei personaggi, le animazioni e tutte quelle cose bellissime.

Succede che magari capita che sto fermo a guardare un muro per molto tempo, i mattoni proprio (nei videogiochi dico) o una porta, i pixel, la luce delle torce, ed essendo un esperto del guardare le cose, lo faccio in modo molto attento e professionale.

Sarà che sono sempre stato quello che guardava, in generale. Sarà che quando si giocava, spesso lo si faceva insieme agli altri e quindi c’era sempre qualcuno che guardava. Già quand’ero bambino c’era questo vicino di sopra (lo chiameremo $), che era figlio di un informatico o di un ingegnere, vabbè, di uno che per lavoro c’aveva dei computer, e quindi noi ci giocavamo, cioè $ giocava, io appunto stavo lì di fianco a guardare. E guardavo molto attentamente, aspettando il mio rarissimo turno che canonicamente arrivava quando $ doveva pisciare o sua madre doveva dirgli delle cose.

Ci siamo spaccati di succo alla pera e cassette del Commodore 64, solo che $ poi ha smesso e adesso è un ingegnere o un informatico in Sokovia e io, invece, sono un fumettista (di nicchia).

 

commodore64
Il Commodore 64.

 

Il joystick Mammoth.
Il joystick Mammoth.


Ok, abbiamo iniziato a conoscerci, ma prima di ritrovarci in futuro a parlare di videogiochi di bruciante attualità (è appena uscito il nuovo DOOM!) devo anche confessare quali furono i titoli su cui, in quella pigra ed eccitante infanzia, io, $ e gli altri spendemmo la nostra insana dose di tempo perso.

Pausa. Eccoli.

The Great Giana Sisters (Time Warp Production, 1987) su C-64 era una versione marcia di Super Mario Bros. al femminile. La protagonista, Gianna, era una tizia bionda con un fiocchetto rosso, che quando mangiava una rotella colorata diventava molto spettinata e più arrogante, tutto per salvare sua sorella Maria (mai vista).

Molti livelli erano uguali spiccicati a Super Mario Bros (ovvio plagio), però invece delle regolarissime monetine dorate bisognava collezionare delle gemme brutte e, al posto dei funghi e delle tartarughe, c’erano degli insetti o dei bulbi oculari coi piedi che si riempivano di vene da morti. Il boss più tosto era lo pterosauro cattivo, che avevamo riconosciuto come Dimorphodon, forse sopravvalutando la nostra preparazione paleontologica.

Però la musica era veramente una bomba.

dimorphodon
Gianna (già spettinata) impegnata a cogliere una gemma, sullo sfondo a sinistra il terribile Dimorphodon.

Incredibilmente il brand “Giana Sisters” esiste ancora e dopo un seguito nel 2009 su Nintendo DS (a 22 anni di distanza dall’originale) ne è uscito anche uno nel 2012, che è un platform coloratissimo mica male, vi consiglio di provarlo ma vi dico subito che hanno sostituito il Dimorphodon con un banale drago grasso (lo trovate per tutte le piattaforme odierne, trailer QUI).

Sempre per C-64 c’era Impossible Mission (Epyx, 1984) che non era Mission Impossible, eh. Qui vestivamo i pantaloni di un agente segreto ma disarmato, intento a sventare i malvagissimi piani del Professor Elvin Atombender saltando oltre (non sopra) tutti i suoi robottini a valvole, in un labirinto di ascensori, corridoi metallici e computer del futuro.

Il gioco andava finito in massimo di 6 ore e ogni volta che morivi perdevi 10 minuti di tempo, e per morire bastavano un paio possibilità: che qualsiasi cosa ti sfiorasse, anche una volta sola, oppure che finissi col volare giù dai precipizi tecnologici del labirinto tecnologico del professore malandrino. Comunque è stato il primo gioco che ho/abbiamo (sempre con $) finito ed è stato bellissimo vedere il faccione rancoroso di Atombender voltarsi verso di noi e gridare: «No! No! Nooo!» con quella sua voce sintetica ma molto avveniristica.

atombender
Il Professor Elvin Atombender mentre dice: “No! No! Nooo!”.

Nel 2008 ne è uscita una versione rinnovata (brutta) per Nintendo Wii, ma non c’ho mai giocato. Poi ho avuto anche io un Commodore 64 e sono diventato ufficialmente un videogiocatore.

Beyond The Ice Palace (Elite Systems, 1988) aveva una copertina scintillante, con un maghetto/gnomo/strega/goblin seduto ai piedi di un palazzo di ghiaccio, che ti fissava negli occhi ghignando maleficamente. Vendetti a lui l’anima per farmelo comprare da mia madre. Oh, sulla copertina c’era anche un calabrone.

Dopo il caricamento della cassetta, una pergamena digitale ci informava che le forze del male stavano facendo dei pasticci e più precisamente: bruciando la foresta e le case dei poveri taglialegna. Insomma, bisognava farle smettere con la forza delle botte. Poi la pergamena diceva di schiacciare un tasto, strano.

Ci si trovava così a muovere un capellone ossigenato (una versione approssimativa di Conan) che doveva avanzare in pericolosissimi dungeon pieni di creature antipatiche e molti pipistrelli, ovviamente ammazzando tutti e crepando il meno possibile. All’inizio si poteva scegliere tra spada, forchettone o mazzafrusto, ma tanto era uguale perché li lanciavi (sì li lanciavi, ed erano infiniti) tutti in modo molto simile, forse il mazzafrusto un po’ più a palombella. Vabbè era bello, era pure fantasy, però era veramente cortissimo, tipo che se guardi su YouTube c’è gente che lo finisce in 6 minuti, io invece non l’ho mai finito. Ah, sì, ovviamente era una versione deludente del molto più fantasticissimo Ghosts ‘n Goblins.

Il padrone della mia anima.
Il padrone della mia anima.

Spendo le prossime righe di questa prima puntata-madeleine (al sapore di Tegolino) per il gioco che ha sedato la mia sete di distruzione: River Raid (Activision, 1982) uno sparatutto a scorrimento verticale. Ci si mette alla guida di uno spericolato aeroplanino blu che sorvola una verdissima valle montagnosa dove scorre un enorme fiume azzurro. Purtroppo il ceruleo velivolo consuma molto carburante e quindi bisogna fare frequentissimi(ssimi) rifornimenti passando sopra delle scritte “FUEL” ma evitando o distruggendo gli elicotteri, le navi, i jet, e i carri armati nemici (e anche delle pacifiche mongolfiere iridate). Ah, e ovviamente anche le scritte “FUEL” danno punti, quindi lo struggle è intenso: distruggerle e fare benza? Insomma: la solita metafora dell’esistenza (in 8-bit).

Bello, ero pure abbastanza forte, delle volte.

La confezione di River Raid (in floppy disk) su una bella tovaglia.
La confezione di River Raid (in floppy disk) su una bella tovaglia.

Poi c’è stato il magicissimo periodo del Personal Computer, i miei cugini migliori mi rifilarono un 286 di terza mano, come i vestiti e i libri di scuola tutti già sottolineati, ma lo accolsi con il dovuto entusiasmo, specie perché in dote ricevetti anche un mega-paccone di floppy pieni di giochi. I miei prediletti del cuore erano quelli Apogee, lo studio che poi, quando nel 1994 si è trasformato in 3DRealms, ha creato grandi classici (Wolfenstein, Duke Nukem 3D… capito no?). Però io voglio parlare della ingenua, magica e fantasiosa:

dal 1987 al 1994
dal 1987 al 1994

e specialmente di tre serie pazzeschissime:

Commander Keen (Apogee/Id Software, 1990) e tutti i seguiti su MS-DOS. Un platform a scorrimento orizzontale con protagonista bambino di 8 anni che, quando i suoi non ci sono, si trasforma (indossando un casco da football americano giallo e verde) nel suddetto comandante, per difendere la Terra dalla tremenda minaccia dei Vorticons, ovviamente, che sono delle specie di lupi alieni umanoidi blu. La grafica era “tipo-cartone-animato” anche se vista adesso non rende come allora, purtroppo, ma capirete cosa intendo. Vabbè, i colori erano limitati e anche tutto il resto, però si potevano raccogliere delle Pepsi, del cioccolato e delle fette di pizza per aumentare il punteggio, si poteva sparare con una pistoletta laser e saltare su un pogo-stick.

Col proseguire degli episodi il nostro piccolo comandante coraggioso visita pianeti, foreste, mondi ghiacciati, bunker mega tecnologici e sconfigge robot, alieni di varie fogge, pallette rosse con la faccia, patate soldato, sedani cattivi, funghi pazzi, lumache paciose, eccetera. Se volete provarne uno provate il quarto capitolo: Commander Keen, Secret of the Oracle, del 1991, perché è il più bello.

Oh! Ho appena letto su internet che il piccolo bambino di 8 anni, è il nipote del cazzutissimo protagonista di Wolfenstein, incredibile! Buon sangue non mente, che mattacchiona questa Apogee!

Commander Keen rimbaza sul suo pogo-stick in una foresta di alberi tranquilloni
Commander Keen rimbaza sul suo pogo-stick in una foresta di alberi tranquilloni


Bio Menace
, del 1993. Un fantascientifico platform labirintico con un sacco di chiavi da prendere e porte futuristiche da aprire. Qui vestiamo gli attillati panni dell’aitante Snake Logan, agente segreto della CIA, con baffi e mullet neri come le notti Metro City invase dai mutanti del perfido e nerdissimo Dr.Mangle. C’è poco da dire: il sistema di gioco è lo stesso di Commander Keen, solo con più fucilazzi, sangue e in generale contenuti più maturi. I boss sono belli tosti, e il migliore è la mummia-scheletro-alieno blu gigante (si chiama Skull Man).

Snake Logan ha gli occhi azzurri.
Snake Logan ha gli occhi azzurri.


Duke Nukem I e II (1991, 1993). Qui la gloriosa (e matura) serie tridimensionale ha avuto i suoi bidimensionali natali in 16 brillantissimi colori. Il protagonista: “il Duca”, come lo chiamano i fan, è un adorabile quanto rozzo super-macho coi capelli a spazzola e gli occhialazzi da sole alla Terminator. Ci si inerpica per enormi livelli sparando a tutti gli scagnozzi del Dr.Proton in una Los Angeles del 1996 (che era il futuro eh!) con le peggio armi a energia atomica. La mega-novità, e vero motivo della mia affezione, era che si poteva sparare alle cose e le cose di rompevano veramente, il che era un gran passo avanti dei videogames verso l’ambitissimo realismo. Dei due Apogee il secondo è meglio: ci sono più armi. Poi nel 1996, ma quello vero, 3DRealms ha pubblicato Duke Nukem 3D che è diventato un super-mega-successo della Storia dei Videogames.

L’autore di questa rubrica.
L’autore di questa rubrica.

Ecco, per oggi ho finito. E quindi no, non sono mica un retrogamer. Cioè delle volte anche, ma non solo. Ho giocato, gioco e giocherò. Perché videogiocare è divertente, è frustrante, è utile, è inutile, è farsi un mega-viaggio con gli occhi. E per chi ama il disegno e il fumetto, è pane per i suoi denti.

Bene, la prossima volta vi parlo di Batman, forse.

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Ah, qui sotto potrete persino provare (il bello di internet) i giochi che vi ho raccontato:

The Great Giana Sisters > QUI l’originale per C-64 ma va solo su PC. QUI invece una versione orribile che va su Mac ma fa schifissimo e la musica è falsa.

Impossible Mission > QUI (PC/MAC).

Beyond The Ice Palace > QUI (PC).

River Raid > QUI in una versione privata del fascino originario, ma che funziona su MAC. QUI invece quello originale per C-64 che va solo sul PC.

Commander Keen > QUI il quarto capitolo più bello

Bio Menace > QUI

Duke Nukem > QUI

Invece i titoli più recenti li potete trovare ancora su Amazon:

Giana Sisters Twisted Dreams > QUI

Giana Sisters DS > QUI

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