Niente archiviazione, le indagini devono proseguire. Il giudice delle indagini preliminari di Roma, Giovanni Giorgianni, ha respinto la richiesta di archiviazione dell’inchiesta che deve accertare eventuali responsabilità nell’affondamento di un barcone di migranti siriani avvenuto l’11 ottobre del 2013 in acque Sar maltesi. Nell’incidente 26 persone morirono e altre 260 risultarono disperse mentre si salvarono in duecento. Indagati per omissione di soccorso erano quattro tra ufficiali e sottufficiali della Marina militare e tre della Guardia costiera italiana.

Ora il gip ha disposto che la procura formuli l’imputazione coatta per l’allora comandante della sala operativa della Guardia costiera, Leopoldo Manna, e per l’allora comandante della squadra navale della Marina militare Luca Licciardi. Il gip ha poi chiesto un supplemento di sei mesi di indagini per Catia Pellegrino, all’epoca comandante di nave Libra che, secondo le testimonianze di pilota e copilata di un aereo da ricognizione maltese, avrebbe ricevuto chiamate di intervento alle quali non rispose. Accolte invece le richieste di archiviazione per l’ex comandante della squadra navale della Marina Filippo Maria Fofi e per gli ufficiali Nicola Giannotta, Antonio Miniero e Clarissa Torturro, perchè o in posizione subordinata o perchè estranei ai fatti.

A richiedere l’archiviazione dell’inchiesta erano stati i pubblici ministeri della procura di Roma Francesco Scavo e Santina Lionetti ma per il gip l’inchissta deve proseguire. Anche la procura militare di Roma tempo fa ha aperto un’inchiesta.

Quel giorno di quattro anni fa ci fu un continuo rimpallo di competenze tra le autorità italiane e quelle di Malta, su chi dovesse intervenire nel salvataggio di un barcone di migranti, profughi siriani in fuga dalla guerra, a bordo del quale c’erano pure tanti bambini e donne. L’inchiesta è partita dalla denuncia presentata da un primario anestesista dell’ospedale siriano di Aleppo, Mohammad Jammo, che era a bordo di quel barcone e che chiamò ripetutamente con un telefono satellitare sia le autorità italiane sia quelle maltesi sollecitando, poi invocando, infine supplicando, un intervento rapido perchè il barcone stava affondando. Nel naufragio il dottor Jammo, che oggi ha 44 anni, perse due figli.

Secondo una ricostruzione, il barcone era in un tratto di Mediterraneo che, per quanto riguarda l’attività Sar (Search and Rescue), era di competenza di Malta. Per questo, per molte ore alla nave «Libra» della Marina italiana, che pure era a un paio di ore di navigazione dal barcone, fu imposto di non intervenire; l’Italia pretendeva che, come previsto dalle normative internazionali, fosse Malta a coordinare e prestare i soccorsi. Il rimpallo di responsabilità fece perdere molte ore e quando poi finalmente la «Libra» ebbe ordine di dirigersi alla massima velocità verso il barcone, era ormai troppo tardi per salvare tutti. Erano giorni drammatici, quelli, per migranti e soccorritori: una settimana prima, il 3 di quello stesso mese di ottobre, davanti a Lampedusa, era colato a picco un altro barcone, trascinando nel fondo del mare 368 migranti rimasti intrappolati nell’imbarcazione.

Appena pochi giorni dopo quel tragico episodio dell’11 ottobre, il successivo 18, il governo varò l’operazione Mare nostrum, la prima operazione di soccorso in mare per i migranti, cui seguirono le altre finalmente anche con il contributo delle istituzioni europee.

Il naufragio di quel barcone resta un buco nero della solidarietà dell’Italia sul quale però, con la prosecuzione dell’inchiesta, non è ancora arrivato il momento di mettere la parola fine.

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