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  • Lunedì 19 gennaio 2015

La morte di Alberto Nisman

Il procuratore argentino che avrebbe dovuto presentare in Parlamento le accuse contro la presidente Cristina Kirchner è stato trovato morto nella sua casa a Buenos Aires

Nella notte tra domenica e lunedì il procuratore federale argentino Alberto Nisman, 51 anni, responsabile di un’importante inchiesta giudiziaria contro la presidente del paese, Cristina Kirchner, è stato trovato morto nel suo appartamento a Puerto Madero, un quartiere di Buenos Aires. La notizia è stata per tutto il giorno in apertura in grande evidenza su tutti i siti di notizie argentini, anche perché Nisman nel pomeriggio avrebbe dovuto presentarsi davanti a una commissione parlamentare per esporre e argomentare le sue accuse.

Nisman è stato trovato morto in bagno dalla madre, arrivata sul posto con un agente di polizia, e vicino al suo corpo è stata trovata una pistola, ha detto il ministro della Sicurezza, che però non ha specificato l’effettiva causa della morte del procuratore. Viviana Fein, la procuratrice che sta seguendo il caso, ha annunciato che “l’autopsia è già iniziata” e che dovrebbe permettere di ricostruire meglio che cosa è accaduto nella notte. Fein ha poi chiarito che “non ci sono testimoni o vicini che abbiano segnalato qualcosa e non è stata ritrovata una lettera”. Il Clarín dice che al momento l’ipotesi è che si tratti di un «apparente suicidio» ma per ora la procuratrice Viviana Fein si è limitata a dire «abbiamo trovato una pistola». I documenti che Nisman avrebbe dovuto presentare oggi in Parlamento erano sulla sua scrivania.

Il quotidiano argentino La Nación, citando fonti giudiziarie, dice che la famiglia di Alberto Nisman stava cercando di contattare il procuratore dal pomeriggio di ieri, domenica 18 gennaio. Non riuscendoci, la madre è andata al suo appartamento che si trova al tredicesimo piano di un palazzo nel quartiere Puerto Madero di Buenos Aires. Dopo aver bussato alla porta principale, non avendo ricevuto alcuna risposta e non conoscendo il codice elettronico per accedere, ha cercato di entrare dalla porta di servizio. Ma la chiave si trovava all’interno. Ha quindi deciso di chiamare un fabbro che ha forzato la serratura. Una volta dentro, la donna ha trovato il corpo del figlio in bagno.

La settimana scorsa il procuratore Nisman aveva accusato la presidente dell’Argentina Cristina Kirchner, il ministro degli Esteri e altri funzionari del governo di avere cospirato per insabbiare un’indagine che si sarebbe dovuta occupare del coinvolgimento dell’Iran in un attacco esplosivo a un centro ebraico a Buenos Aires nel 1994, che causò la morte di 85 persone e il ferimento di almeno 200. Secondo Nisman, Kirchner avrebbe chiesto al suo ministro degli Esteri Hector Timerman e ad altri funzionari di attivarsi per trovare una qualche forma di immunità per alcune persone di origini iraniane sospettate per l’attacco, sperando in questo modo di migliorare i rapporti diplomatici e commerciali con l’Iran per ottenere forniture di petrolio a prezzi più vantaggiosi e attenuare così i problemi dovuti alla crisi energetica in Argentina. Il piano alla fine non sarebbe stato comunque realizzato.

Nisman aveva anche chiesto che fossero temporaneamente sospesi gli accessi a circa 23 milioni di fondi privati che fanno parte del patrimonio di Kirchner e delle altre persone coinvolte nell’inchiesta. Le accuse di Nisman, che indagava da anni sulla strage del 1994, sono basate su numerose intercettazioni telefoniche effettuate negli ultimi due anni tra diversi funzionari governativi e altre persone molto vicine a Kirchner, che non è stata invece intercettata. Tra queste ci sarebbe anche Mohsen Rabbani, un iraniano che per lungo tempo è stato tra i membri più attivi dell’ambasciata a Buenos Aires e che è tra le persone sospettate per quanto avvenne al centro ebraico venti anni fa. Secondo Nisman le prove raccolte erano molto consistenti ed era quindi fiducioso sulle decisioni che potrà assumere il giudice.

Come ricorda il Wall Street Journal, le indagini di Nisman sono nate in seguito alle difficoltà nell’organizzare una commissione, con la partecipazione dell’Iran, per ricostruire i fatti che portarono all’attacco esplosivo del 1994. Nel maggio dello scorso anno, una corte d’appello federale definì incostituzionale l’accordo sulle cui basi si sarebbe dovuta costituire la commissione. Secondo i funzionari argentini, l’accordo avrebbe permesso di scoprire la verità, ma per i detrattori – comprese alcune organizzazioni ebraiche – il patto avrebbe dato troppa libertà di azione all’Iran e nessuna garanzia sul fatto che le persone sospettate dell’attacco, di origini iraniane, potessero essere interrogate adeguatamente.

Secondo Nisman “il piano criminale comprendeva la creazione di una nuova ipotesi di reato basata su prove false per dirottare le indagini giudiziarie verso imputati inventati, allo scopo di rimuovere qualsiasi responsabilità penale dai sospetti iraniani”. L’operazione sarebbe stata avviata nel periodo in cui l’Argentina doveva fare i conti con una seria crisi energetica, che aveva portato alla spesa di enormi quantità di denaro per importare risorse energetiche dall’estero. Era necessario importare petrolio e per farlo sarebbe stato opportuno migliorare i rapporti commerciali con il governo iraniano. Per Nisman, i presunti atti criminali sarebbero stati portati avanti proprio allo scopo di ottenere petrolio iraniano a prezzi vantaggiosi.

A distanza di venti anni non sono ancora del tutto chiare le responsabilità per l’attacco contro il centro ebraico. Nisman sosteneva che la strage sarebbe stata organizzata dall’Iran, che avrebbe poi affidato al gruppo libanese Hezbollah il compito di eseguirla. Nel 2007 furono emessi mandati internazionali per l’arresto di sei cittadini iraniani sospettati di essere coinvolti nell’attacco. Sono ancora latitanti e in più occasioni il governo iraniano ha negato qualsiasi coinvolgimento. Secondo l’inchiesta, quando erano in corso le trattative per organizzare la commissione intergovernativa tra Argentina e Iran, il ministro degli Esteri argentino avrebbe promesso di fare pressioni sull’Interpol per fare ritirare i mandati di cattura. Le cose si sarebbero complicate quando l’Interpol decise di mantenere i mandati, rendendo meno vantaggioso il piano per l’Iran.

foto: Alberto Nisman durante una conferenza stampa. (JUAN MABROMATA/AFP/Getty Images)