A che punto è la bolla dell’Occidente?

Benjamin Fulford è un celebre complottista, ma ha il dono della sintesi. La questione, dice, ormai è questa:   il sistema finanziario occidentale è in bolla. Tutto sta a vedere se sarà un’implosione controllata, a cui potrebbe seguire una rinascita, oppure un’esplosione con caos, anarchia, rivoluzioni, sangue e miseria.

 

 

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Molto sintetica la tabella qui sopra: mostra lo scollamento fra pseudo crescita finanziaria in Usa (mercato del credito più azionario, in blu) e la crescita del Pil, ossia all’economia (più o meno) concreta. Ciò significa che “80 trilioni di prodotti finanziari americani non hanno alcun fondamento nel mondo reale. Un altro modo di dirlo è che il prezzo degli attivi americani, azioni e obbligazioni, dovrà calare dell’80% prima di toccare il terreno della realtà”.

Era già successo in Giappone ai tempi della bolla, durante la quale i prezzi dei terreni di un solo quartiere di Tokio (la Ginza) valevano più dell’intera California. Su quei prezzi fantasticamente gonfiati, la finanza creativa costruiva crediti e titoli di credito – crediti sempre più irrecuperabili. Quando la bolla è scoppiata, “l’immobiliare nipponico è caduto del 90%”, trascinando con sé tutti i crediti che vi si erano appoggiati. “La bolla americana è 49 volte più grande. La domanda non è se scoppierà, ma quando”.

Belle indicazioni  sintetiche vengono da indici che la speculazione non può truccare, come il Baltic Dry Index, il prezzo dei noli navali per i trasporti di materie prime: è a un livello di una bassezza mai vista . Uno simile è l’indice cinese dei trasporti di merci in container, che denuncia la spedizione di prodotti finiti dalla Cina:

 

 

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La Cina   ha visto crollare l’export. Per questo ha fretta di applicare la sua (giusta) strategia della Via della Seta, un colossale piano di investimenti infrastrutturali in tre continenti.

L’Occidente ha scelto un’altra via: si tiene stretto alla dogmatica anti-keynesiana, in questa fase radicalmente sbagliata. E ci racconta storie per farci paura, se scegliessimo un’altra strada.

Per esempio: “Corsa agli sportelli in Grecia! È la fine per le banche elleniche!”. Quel che non ci strombazzano è quel che ha segnalato l’Associazione Americana degli Investitori Individuali: questi investitori privati in maggio, hanno diminuito dal 67,9 al 57,8 % la percentuale dei loro fondi che hanno impiegato in azioni. Detto altrimenti: in un solo mese, hanno venduto il 10 per cento delle loro azioni facendosi dare i soldi contanti.

E poi ci vengono a parlare di “corsa agli sportelli in Grecia”? E questa che cos’è, se non la fuga da Wall Street?

E i tedeschi vengono allarmati riguardo ai debitori greci. Dovrebbero allarmarsi di Deutsche Bank, la prima candidata all’implosione: S&P   ne ha abbassato il rating a BBB+. “Quando Lehman Brothers è collassata, aveva un rating più alto, AA-” . Deutsche Bank come sappiamo ha nei libri contabili prodotti derivati del valore nominale di 54.7 miliardi di euro; il Pil  tedesco è di 2,7 miliardi, il Pil dell’intera UE non supera i 9,6.

 

Irresponsabili

E ci vengono a dire che l’irresponsabile è Tsipras, che mette in pericolo la tenuta del sistema? Se c’è una parte di ragione in questa accusa, sta in questo: che per una quantità imprecisata di quei derivati, la “garanzia” che ha dato la DB è costituita da titoli pubblici ellenici. Un investimento sicuro, non c’è che dire. Anche se ora  le banche private tedesce e francesi hanno accollato gran parte delle loro perdite sui contribuenti europei, come al solito – anzi persino sui contibuenti americani: la Fed ne ha dato miliardi d per tenere in piedi le grandi banche europee, il pericolo resta.

Perché non ci sono più riserve.

C’è ancora l’oro a Fort Knox? Lo ha domandato in forza del Freedom of Information Act il sito specialistico Bullion Star. Gli hanno risposto: tranquillo, ogni anno il deposito è soggetto ad un audit, che consiste nella verifica dei sigilli ufficiali posti sulle casseforti. Anche l’anno scorso le ispezioni hanno riguardato il 97% dell’oro americano (8.134 tonnellate, dovrebbero esserci). Alla richiesta di avere copia dei rapporti di ispezione di anni precedenti, la risposta è stata: ci spiace, ma gli audit di 7 anni non riusciamo a trovarli. Che disdetta!

https://www.bullionstar.com/blogs/koos-jansen/us-government-lost-7-fort-knox-gold-audit-reports/

Sicché si capisce come mai molti paesi alleati (servi) degli Stati Uniti cerchino di ritirare il loro oro di Stato, che detengono a Fort Knox perché è “più sicuro” (come no); a questi si è aggiunto da pochi giorni un altro stato che non è propriamente estero: il Texas. Il governatore Greg Abbott ha preteso di riavere il suo miliardo di dollari in lingotti dalla Fed di New York, apparentemente per sottrarlo a future confische del governo federale. Che lo stato della Stella Solitaria abbia un presentimento?

http://www.zerohedge.com/news/2015-06-13/writings-wall-texas-pulls-1-billion-gold-ny-fed-makes-it-non-confiscatable

Ora si capisce meglio perché Washington, in Ucraina, cerca di trascinare Putin in una terza guerra mondiale, e i suoi servi (alleati) provano tutte le provocazioni possibili: è la loro ricetta per risolvere crisi di questo genere. Ed anche perché Putin, nonostante che sanzioni e cali energetici effettivamente intacchino l’economia, stia accaparrando oro per lo stato russo. È quello che servirà, quando imploderà la bolla.

Il prezzo dell’oro oggi è basso: il Sistema occidentale riesce a manipolarlo trafficando in “certificati” di carta che certificano che l’oro è tuo, solo te lo tengono a Fort Knox per la tua sicurezza. Ma sono anni che indiani, cinesi, eccetera, si fanno consegnare oro fisico. Fino a quando reggerà il trucco?

Se si deve credere ad un altro sito specializzato, il governo francese ha vietato la vendita di oro monetato in contanti; e anche per assegni, venditore e compratore devono riferire alle autorità ogni transazione. I francesi che vogliono comprare oro vanno in Belgio, e Parigi se ne è lamentata. In Usa, i raffinatori di oro devono riferire al governo federale ogni spedizione di fino, da dove viene e dove va…Vuoi vedere che c’è una scarsità di oro fisico, mentre i certificati invece sono così abbondanti? In Usa si teme la confisca: lo fece Roosevelt vietando la detenzione ai privati, e la Fed lo ordinerà ancora. A quel punto l’oro che Mosca ha comprato basso, salirà di valore. Magari troppo.

http://armstrongeconomics.com/archives/33601

Decisamente, ci vuole una guerra.

Sicché Parigi – di colpo – ha mandato gli uscieri a congelare gli attivi russi presso le banche francesi, e Bruxelles ha fatto lo stesso per gli attivi russi in Belgio; con istruzioni di sequestrare tutto: “Fondi, immobili, veicoli, attivi appartenenti alla Russia”; una intimazione di dare la lista completa dei beni è stata recapitata a tutte le filiali di imprese russe in Francia e Belgio, compresa la branca locale della Chiesa ortodossa e – soprattutto – i beni della TASS e della La Voce della Russia, Rossya Segodnya, il notiziario radio e web che dà un estremo fastidio (insieme alla tv in inglese Russia Today) al libero Occidente per le informazioni che in Occidnete i media non danno.

Il pretesto è dare esecuzione alla sentenza della corte arbitrale dell’Aja che ha dato ragione a Khodorkovski e soci (coloro che comprarono la Yukos per una frazione del suovalore, con fondi forniti dai Rotschild di Londra) condannando Mosca, che s’era ripresa il maltolto nazionalizzandolo (oggi si chiama Gazprom) e sbattendo in galera Khodorkovski, a pagare 50 miliardi di dollari – al medesimo. È il caso di aggiungere che nel febbraio scorso la Corte europea dei diritti dell’Uomo, a cui s’erano rivolti gli azionisti della Yukos che si ritenevano lesi dalle spericolatezze di Khodorkovski, ha riconosciuto che la Yukos (ossia lui) s’era reso colpevole di massiccia evasione fiscale in Russia e bancarotta fraudolenta, e che la tassazione punitiva subìta era giustificata dalla legislazione russa. Dunque l’invio degli uscieri a sequestrare i beni è una pura provocazione tesa d umiliare il grande paese, a trattarlo come una qualunque Argentina di cui si possono confiscare le navi e le auto… Nella sua meschinità di mezzuccio diplomaticamente scorretto, il sequestro non è lontano da un atto di ostilità bellica. Fu per un congelamento simile dei propri beni in Usa che il Giappone imperiale fu costretto ad entrare in guerra con l’attacco a sorpresa di Pearl Harbor: aveva riserve petrolifere per sei-otto mesi, e col sequestro degli attivi non poteva più comprarne.

Il momento del sequestro dei beni della Federazione in Francia e Belgio è stato scelto in modo da offuscare l’apertura del Forum Economico di San Pietroburgo (a cui partecipano 54 paesi), o ridurne la minimo la risonanza. Nella speranza che stavolta, Vladimir perdesse la calma. Come ha spiegato nello stesso discorso inaugurale Putin: “Per lungo tempo, possiamo dire per un decennio, siamo rimasti tranquillamente in silenzio ed abbiamo proposto vari elementi di collaborazione, però, periodicamente, ci hanno pressato, pressato, pressato e spinto su una linea dietro la quale non possiamo indietreggiare (..) “Noi non abbiamo voglia di rispondere a quelle azioni distruttive che cercano di imporci alcuni nostri partner, per di più rimettendoci loro stessi. Gli ultimi dati che ho letto e sentito dall’Europa parlano di 100 miliardi di perdite potenziali per i produttori europei. Il volume degli scambi con l’Europa è diminuito di un terzo”.
http://it.sputniknews.com/mondo/20150619/593647.html#ixzz3dXYquRNx

Quest’altro tentativo di scatenare la guerra mondiale non sembra riuscito. Vediamo cosa s’inventeranno domani i nostri cosiddetti dirigenti europei. Il tempo stringe. Miliardari come Donald Trump e finanzieri come Carl Icahn appaiono in tv a dire in coro: “È una bolla come non se n’è mai vista prima”. Strano, parlano come il complottista Fulford.