Amianto, ecco i 50 processi dove 1500 vittime attendono giustizia

Non c'è solo la Eternit di Casale Monferrato. Ecco la mappa delle aziende e dei processi di tutta Italia

Eternit Asbestos Trial Delivers Final Verdict
(Foto: Getty Images)

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In Italia sono circa 1500 le vittime di amianto che attendono giustizia. Operai, familiari, associazioni, uniti per chiedere che la mannaia della prescrizione non lasci impuniti i responsabili del disastro ambientale e delle morti. Nelle aule di tribunale non si racconta solo il dramma di Eternit, il cui processo bis per l’omicidio volontario degli ex dipendenti è appena cominciato. Nei cinquanta principali procedimenti penali per amianto, monitorati da Wired nell’ambito dell’inchiesta “Il prezzo dell’Amianto”, sono quasi 500 gli imputati. Imprenditori, manager, responsabili della sicurezza, amministratori locali e persino volti noti della politica sono accusati di non aver tutelato la salute dei lavoratori, né tantomeno dei loro familiari o dei residenti nei quartieri a ridosso delle fabbriche della morte. Anche loro, vittime inconsapevoli di un killer di nome asbesto.

L’avvio di un’inchiesta
Sulla mappa sono indicati i nomi delle aziende in cui si sono registrati casi di decessi o di malattie, tali da dare il via a procedimenti penali. Un’indagine può scattare sia in seguito a denunce di privati – cittadini o associazioni – che su input delle aziende sanitarie. “Prevenzione e aspetti giudiziari possono proseguire di pari passo con l’inoltro di numerose denunce di malattie professionali alle varie Procure della Repubblica competenti per sede delle aziende dov’è stata prestata l’attività lavorativa a rischio”, spiega Alfonso Cirillo, medico responsabile dell’Unità operativa amianto dell’Asl Napoli 3, che comprende il Sito di Interesse Nazionale del litorale vesuviano, dove sono stati censiti 81 milioni di metri quadrati di amianto da bonificare. Qui tra il 2012 e il 2014 sono stati visitati 1635 ex lavoratori, mentre le denunce alla magistratura sono state 529.

Non solo Guariniello
In Italia il più alto tributo in termini di vittime è stato pagato dall’Eternit di Casale Monferrato e dalle sue sedi di Bagnoli, Cavagnolo e Rubiera. Al processo bis il proprietario svizzero Stephan Schmidheiny è accusato dell’omicidio volontario di 258 persone.
Il Piemonte è la Regione col maggior numero di procedimenti in corso, avviati prevalentemente dal sostituto procuratore di Torino Raffaele Guariniello. L’ultimo caso ha riguardato la presenza di amianto a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’Università. L’edificio, in seguito alle proteste degli studenti, è stato chiuso. Il magistrato ha ordinato perizie sulla presenza di materiale cancerogeno e intanto ha inviato un avviso di garanzia al rettore Gianmaria Ajani per omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Le sue responsabilità, tuttavia, sono limitate, visto che la pericolosità dell’edificio si conosce da almeno vent’anni, per via di casi accertati di mesotelioma pleurico.
Altri poli industriali critici si trovano in Emilia Romagna, dove è in corso il processo per 75 vittime del Petrolchimico di Ravenna, e in Friuli Venezia Giulia, dove si registrano oltre 220 le vittime per le quali è stata avviata l’azione penale. Il più grande processo italiano per numero di imputati, 39, riguarda la Fincantieri di Monfalcone, conclusosi nel 2013 con la condanna di 13 ex dirigenti a pene tra due e sette anni. Il ritardo di un anno e mezzo nella pubblicazione delle motivazioni del verdetto hanno frenato il processo d’Appello, determinando un concreto rischio di prescrizione dei reati. Alcuni parlamentari, tra cui il senatore del Pd, Felice Casson, che da magistrato avviò le prime indagini sull’amianto in Fincantieri, hanno chiesto l’intervento del ministro della Giustizia Andrea Orlando, che di recente ha ordinato un’ispezione al tribunale di Gorizia.
E’ di pochi giorni fa, inoltre, la notizia della richiesta di rinvio a giudizio di 29 persone nell’ambito dell’inchiesta Isochimica, azienda che negli anni Ottanta ad Avellino avrebbe dovuto bonificare i vagoni ferroviari, ma finì col provocare danni alla salute degli operai e dei residenti del quartiere. Il procuratore della Repubblica Rosario Cantelmo ha chiuso le indagini e chiesto il processo per l’imprenditore Elio Graziano, per funzionari di Ferrovie dello Stato e Asl, e attuali o ex amministratori comunali (tra cui il sindaco Giuseppe Galasso). Le vittime sono 9, mentre le parti civili circa 300.

Una questione di sopravvivenza
Un processo già prescritto in partenza, molto simile al primo filone Eternit, è stato quello celebrato a carico di tre ex dirigenti della Sacelit di San Filippo del Mela, comune di settemila abitanti nel Messinese, ribattezzato la “Casale Monferrato siciliana”. Molte, infatti, le analogie con il più noto caso di contaminazione in Italia: l’alto numero di decessi (121 dipendenti su 220 a inizio 2015), la produzione di manufatti in fibrocemento, il dramma di mogli e figli. A tenere il conto delle vittime è Salvatore Nania, presidente del comitato ex esposti amianto, che comprende anche ex lavoratori della Pirelli di Villafranca Tirrena, della Centrale Enel di San Filippo del Mela e della Raffineria Mediterranea di Milazzo. Dopo che il primo processo si era chiuso in Cassazione con la prescrizione, uno nuovo sta per aprirsi a carico di tre dirigenti. “Ma sarà un altro buco nell’acqua”, afferma Salvatore. “I veri responsabili sono già morti, da tempo sapevamo che non ci sarebbe stata giustizia. Dal 1997 abbiamo combattuto e vinto una battaglia per i risarcimenti, che fortunatamente la Sacelit ci ha accordato. Finora l’azienda ha pagato circa 20 milioni di euro”. Il presidente del comitato appare sfiduciato quando si parla di giustizia penale, ricorda che “gli ordini arrivavano da Milano e Covili, Cirino e Vicini (i tre imputati prosciolti, ndr) erano meri esecutori. Frequentavano i nostri stessi luoghi, erano esposti ai nostri stessi rischi”.

Le assoluzioni alla Franco Tosi
La Sacelit era una delle società del gruppo Italcementi, guidato dalla storica famiglia Pesenti, di cui fa parte Giampiero Pesenti, titolare della Franco Tosi di Milano, altra fabbrica in cui hanno perso la vita 32 operai. A fine aprile l’imprenditore 84enne e altri sette manager sono stati assolti con formula piena dal tribunale di Milano, nonostante la richiesta di condanna a sei anni da parte del pm Maurizio Ascione. Quest’ultimo è l’alter ego di Guariniello in Lombardia. Con lui sono partite inchieste sull’Enel di Turbigo, sulla Pirelli di Milano e la Fiat Arese, tutte nella fase del primo grado di giudizio.
Tornando in Sicilia, alla Sacelit la consapevolezza che l’amianto potesse provocare danni alla salute cominciò a crescere a fine anni Settanta. “Ci davano rassicurazioni – prosegue Salvatore Nania –, infatti ci capitava anche di pranzare seduti sui sacchi di amianto blu, che veniva miscelato con altre sostanze per realizzare lastre o tubi. Poi nel 1979 leggemmo un articolo del Corriere della sera sui primi casi di malattia negli Stati Uniti. Entrammo in agitazione e chiedemmo protezione e prevenzione. Per qualche mio collega è stato troppo tardi, ne ho visti morire troppi. Almeno ci siano i risarcimenti per consentire alle famiglie di sopravvivere”. Tornati a casa dopo una giornata di lavoro quegli operai diventavano un pericolo vagante. “Anche abbracciare il proprio bambino poteva metterlo a rischio. Molti figli si sono ammalati. Tante le mogli che nel lavare le tute hanno respirato fibre di amianto. Quattro di loro sono morte, altre otto si sono ammalate di asbestosi e noduli polmonari. Penso a quelle famiglie e alla loro lotta per la sopravvivenza, al di là dei processi e della giustizia”.

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